Redazione: Proponiamo un intervento davvero notevole di Barbara Tampieri, megafono di gran parte del nostro pensiero.
Ricordiamo che, nell’anno in cui fu scritto (2015), l’America era ancora quella degli Obama e dei Clinton.
Non ci stancheremo mai di riaffermare che gli Stati Uniti sono una realtà assai composita dove, alla Presidenza Trump (di cui siamo sostenitori), si contrappongono quelle forze che chiamiamo per semplicità globaliste, stigmatizzate dall’autrice.
Non sarebbe lecito, quindi, definire “America” quello che è relativo solo ad una sua parte, quella di prima della “rivoluzione” del 2016, di cui l’autrice non poteva avere contezza.
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Barbara Tampieri (Lameduck) per L’Orizzonte Degli Eventi (sintesi di Franco)
Mentre in un mondo parallelo e spensierato gli dei giocano a tennis vestiti di bianco qui, nell’Europa reale abbrutita da anni di crisi, molti non si sono ancora accorti dello snervante braccio di ferro fra il criptonazista Schäuble e la colonia chiamata Grecia.
La massima concessione del Ministro Tedesco agli indigeni è stata: “uscite con le mani alzate e gli asset in mano e nessuno si farà del male”.
In fondo, cosa vuole ancora la Germania, dopo aver strozzato la Grecia, per anni, con un debito creato affinché i greci acquistassero le merci tedesche, inclusi i sommergibili per far la guerra chissà a chi?
Bazzecole, una cinquantina di miliardi di asset greci da trasferire nel Lussemburgo, nell'”Istituto per la Crescita” controllato dalla Kfw, la “cassa depositi e prestiti” tedesca, fondata nel dopoguerra per gestire i fondi del Piano Marshall.
La “cassaforte di famiglia” i cui conti sono rigorosamente “cosa loro” e che non fa cumulo nel computo del fottuto parametro del 3% destinato, invece, a vessare i popoli inferiori e nel cui board c’è il solito Schäuble.
Come riportato dal Sole24Ore, tutto ciò che vale qualcosa, in Grecia, dovrà passare attraverso una Treuhandanstalt — un’agenzia per le privatizzazioni modellata su quella famigerata che macellò i fratelli della Germania Democratica nei primissimi anni novanta, quando in sala comandi c’era già, indovinate chi?, Schäuble.
Piccolo particolare: non era questo ciò che il 60% dei greci aveva votato con il famoso referendum — e ora Varoufakis fa il gagà con gli amici: “Vedete? M’ha cacciato e s’è calato le brache. Se c’ero io!!!”
La Germania è forse impazzita? No, sta solo facendo quello che le riesce meglio. Sta succedendo e succederà ancora.
Signori, questa non è un’esercitazione, siete nell’ennesima guerra della Germania contro il “resto del mondo”!
Non avete idea di quanto queste cose suonino familiari a chi ha studiato la storia.
Il guaio è che la snobbiamo sempre dimenticando che essa, ripetendosi, non sempre finisce in farsa ma, purtroppo, può anche evolvere in tragedia. Tragedia greca, nello specifico.
Consiglio, a chi avesse ancora dei dubbi sulla natura coloniale e razzista della “volontà di potenza” tedesca, oggi mascherata da UE, di leggere il testo di un marxista con le palle come Hosea Jaffe: “Germania, il caso dell’euroimperialismo”, scritto nel 1979 e contenuto nel volume edito da Jaca Book “Germania, verso il nuovo disordine mondiale?”
E’ una lettura che mette a durissima prova il nostro sempre latente sentimento antitedesco. Non devo odiarli, non devo odiarli, non devo odiarli. Ma, Cristo, quant’è difficile.
L’invasione ed annessione di pezzi d’Europa, durante la Seconda Guerra Mondiale, comportava sempre, secondo il Piano Funk, l’acquisizione delle ricchezze e delle industrie locali.
Il colonialismo tedesco si macchiò di crimini a sfondo razziale che anticipavano quelli che sarebbero stati compiuti ai danni di milioni di individui durante la seconda guerra mondiale
Jaffe denuncia senza mezzi termini l’esistenza di una vera e propria “questione tedesca” che non esclude affatto la corresponsabilità del popolo tedesco.
Il motivo di questa acquiescenza risiede, secondo Jaffe, in una sorta di patto diabolico fra “capitale” e “lavoro” che rende il popolo tedesco beneficiario, sia in tempo di guerra che di pace, dei beni espropriati agli altri popoli, verso i quali s’inscena un’operazione di moralizzazione coatta basata sul: “noi virtuosi, voi cialtroni”.
Secondo Jaffe, la struttura fondamentale dello stato moderno germanico continua ad essere il colonialismo — che va da Guglielmo II a Hitler e poi verso l’infinito.
Ovvero, la Germania non è un sistema autosufficiente, ma un sistema nutrito dall’esterno senza il quale la sua ricchezza ed il suo primato crollerebbero immediatamente.
Il nutrimento principale è il “plusvalore nascosto” negativo, ovvero il profitto originato dallo sfruttamento dei paesi posti sotto il suo tallone di ferro, coloniale e mercantilista.
Sfruttamento che si basa, secondo Jaffe, sul razzismo.
Sfruttamento che, fino agli ultimi giorni di guerra, coinvolse l’intero sistema dei Lager, nato per fornire lavoro schiavistico e gratuito ai monopoli e, dal 1942 in poi, impiegato anche per l’atroce “Endlösung” [soluzione finale], grazie alla sua perfetta ed oliata organizzazione.
Jaffe smentisce la cosiddetta “inspiegabilità” filosofica dell’olocausto riducendola a ciò che in effetti fu, l’esempio concreto di fin dove può spingersi il capitalismo se non è messo a freno dalla Democrazia.
In fondo, ciò che senza camere a gas stiamo sperimentando anche oggi. Una verità che non piacerà senz’altro ai capitani dell’industria dell’Olocausto fautori dell’”inspiegabilità”, perché chiude tutte le bocche, soprattutto quelle dissenzienti.
Dalla seconda sconfitta bellica la Germania non trasse alcuna reale motivazione a cambiare il suo modo di gestire l’economia.
Non nacque la Rivoluzione come nella Russia del primo dopoguerra ma solo, secondo Jaffe, la voglia di riprovarci appena possibile:
“La Germania, con tenace pazienza — e con l’aiuto degli americani [tesi a creare un blocco che potesse contrapporsi all’allora URSS] — si volse nel dopoguerra a ricostruire gli Stati Uniti d’Europa in un’altra maniera: come Unione volontaria degli Stati Europei. La leadership germanica doveva essere qualcosa di naturale, di democratico, qualcosa di non proclamato ma di effettivo. Il prodotto di una serie di accordi”.
I suoi partner europei dovevano rendersi conto che, senza la lungimiranza, la finanza, l’intelligenza germaniche l’Europa non poteva funzionare. Un incontro fra genti e paesi liberi, quindi, e non più un’imposizione realizzata in punta di baionetta.
Umiltà, dialogo, democrazia, libera associazione … dovevano essere i pilastri del nuovo corso. Niente brutalità, niente violenze né costrizioni. Neppure la forza della persuasione. Erano gli altri che dovevano capire dove stava il loro bene.
E gli Americani? Esiste un rapporto ambiguo ed ambivalente fra l’impero americano e quello germanico — quest’ultimo sempre sottovalutato e perfino misconosciuto finché non scoppia una di quelle crisi periodiche che ne rianimano, con una scintilla fatale, le velleità di conquista dei beni altrui.
Ogni volta che la Germania muove guerra all’Europa — senza aver mai smesso di sfruttare, nel frattempo, le sue esotiche “colonie” dalle quali estrae il “regulus” che permette la magica alchimia del “patto sociale” con una “classe lavoratrice” che accetta qualsiasi cosa (anche le riforme Hartz), purché i lavori sporchi continuino a farli i turchi — gli Stati Uniti, dopo averla sottomessa, l’aiutano a riprendersi.
Ogni volta — e grazie all’America — dopo una decina d’anni di agonia economica risorge più potente di prima.
Con l’applicazione solo parziale del Piano Morgenthau (che in origine avrebbe dovuto smantellare completamente la struttura industriale tedesca, per ridurre il paese ad entità unicamente agricola), gli Stati Uniti permisero alla Germania, come sempre, di fruire di particolari condizioni per rimettere in piedi il suo potenziale militare ed economico.
Con i prestiti dei piani Dawes e Young degli anni ’20 (che permisero a Schacht il “miracolo”), con il Piano Marshall negli anni ’50 e, soprattutto, con la costituzione negli anni cinquanta di una Comunità Europea di cui la Germania poteva diventare il motore trainante.
Per ri-scatenare la “questione tedesca” mancava solo la riunificazione, il ricongiungimento dell’imperialismo tedesco con la sua “parte morta”, concessa appena all’indomani della caduta del Muro di Berlino — nonostante le perplessità di alcuni statisti europei come Andreotti (“Amo talmente la Germania da volerne due”) — assieme alla possibilità di legare a sé gli altri membri dell’UE con una moneta unica ad immagine e somiglianza del marco.
Se oggi siamo costretti a difenderci da personaggi come Merkel e Schäuble e a parlare di nuovo del pericolo nazista (perché, se il germe patogeno attuale è lo stesso di quello che causò la malattia nazista, il rischio di re-infezione è reale) è solo perché gli Americani hanno dichiarato denazificata una Germania che, in realtà, non lo era affatto se non nei settori meno rappresentativi della società.
La concentrazione della “colpa” collettiva tedesca esclusivamente sulla Shoah e la sua simbolizzazione prima ed astrazione poi, ha permesso l’oscuramento della complicità del “mondo industriale tedesco” nella gestione delle atrocità dei “Campi de Sterminio” e nello sfruttamento del lavoro schiavistico che era alla loro base.
E’ noto che l’Europa Unita dovesse fungere da scudo contro il blocco sovietico. Avevamo sempre avuto il sospetto — eufemismo — che la UE fosse un “progetto americano”.
Ma mai avremmo sospettato, obnubilati com’eravamo dal “sogno europeo”, che l’Europa (e, nello specifico, l’Eurozona) potessero essere strumenti dell’egemonismo tedesco.
Del resto, come scrive Jaffe:
“Il blocco di classe tenuto assieme dalla redistribuzione del plusvalore coloniale realizzò, tramite le SS, i primi Stati Uniti d’Europa, assai graditi al complesso industriale [tedesco], fatti a sua immagine e tenuti sotto il tallone di ferro della politica tedesca.”
Ora, grazie alle ultime vicende greche siamo in grado di riannodare parecchi fili e ciò che emerge è una trama inquietante.
Già nel 1979, ben prima dell’euro e dell’Anschluss della DDR, Jaffe osservava che:
“Il peso della Germania nell’UE è la fonte principale della crescente disuguaglianza all’interno della Comunità tra membri ricchi e poveri. Il pericolo tedesco viene oggi dagli stessi immensi monopoli, cartelli e multinazionali che sottomisero con le armi l’Europa fino a creare, tramite annessioni e conquiste militari, il primo abbozzo di Stati Uniti d’Europa a guida tedesca”.
Non solo, ma analizzando il vantaggio del plusvalore nascosto affermava:
“Non si verifica di solito nel commercio fra potenze imperialiste, eccetto il caso in cui l’esportatore stesso possa ottenere un superprofitto nella misura in cui gode di un vantaggio produttivo temporaneo sui suoi rivali”.
Jaffe delineava già, per il paese economicamente più forte, l’indebito vantaggio rappresentato dall’avere una moneta sottovalutata rispetto ai propri fondamentali, che sarebbe diventato uno dei principali fattori di asimmetria, negli anni duemila, all’interno dell’Eurozona.
Perché gli Americani lasciano scorrazzare la Germania per l’Europa a praticare il bullismo economico sugli altri paesi-membri dell’UE, per giunta allontanando la soluzione di una crisi economica recessiva che sta mettendo a repentaglio gli equilibri del mondo intero?
Non sarà perché il complesso finanziario-industriale tedesco ha acquisito un potere tale da poter tranquillamente fare lobbying a Washington?
Oppure perché gli americani sono anch’essi in parte tedeschi, visto che il “gruppo etnico bianco” più numeroso negli Stati Uniti è proprio quello di origini germaniche?
Ma c’è un altro motivo per il quale questo nuovo nazismo non preoccupa e, anzi, non viene proprio visto, nemmeno con gli occhiali a raggi X: perché è un nazismo senza svastiche e senza antisemitismo.
Il testo di Jaffe termina con un’oscura profezia, scritta quando la riunificazione con la DDR non era ancora stata compiuta, l’euro era solo un “progetto sulla carta” ed esisteva ancora il contrappeso del blocco sovietico all’iperliberismo:
“Pochi si rendono conto che dalla riunificazione potrebbe scaturire una terza guerra mondiale con relativa esplosione atomica. E’ la più grande minaccia alla democrazia se non alla pace. Non c’era dubbio che il fascismo del 1933 in Germania significasse una guerra in Europa nel 1939 e che questa non poteva che trasformarsi in un conflitto mondiale. Il razzismo tedesco si nutrirà di quello contro i lavoratori immigrati e del problema aperto della riunificazione tedesca. Sarà un nazismo costruttore di un impero e non, come ora in Inghilterra o in Francia o in Italia, un movimento senza sbocco. Significherà Terza guerra mondiale. Ma con la bomba atomica. Questa è, secondo me, l’unica prognosi”.
Attualmente, e da un certo punto di vista, la situazione sembra, se possibile, ancor più preoccupante.
La riunificazione non è stata compiuta in modo indolore. L’Anschluss, dal punto di vista del modello di Jaffe, ha sdoganato un nuovo tipo di razzismo.
L’idea, cioè, che oltre a “popoli di serie B” potessero esserci anche “tedeschi di serie B”.
Un paese sovrano, la sua economia e il suo tessuto sociale sono stati completamente smantellati e fagocitati per lasciare al loro posto terra bruciata, dopo che tutto ciò che si poteva prendere era stato preso.
Un precedente che potrebbe essere applicato a qualunque altro paese europeo “ribelle”, con le medesime modalità, visto il dispregio verso il concetto di sovranità.
Cosa potrebbe accadere, quindi?
Gli Stati Uniti useranno la Germania come bastone per tenere a bada le “colonie europee” fino a quando i tedeschi non sbroccheranno, come sempre accade loro quando partono per la guerra, salvo intervenire di nuovo per riportare in Europa la pax americana?
Oppure decideranno di sciogliere con un ukase [editto] l’euro perché dichiarato all’improvviso dannoso per l’economia mondiale — ottenendo l’impagabile effetto collaterale di far svanire in un istante i milioni di euristi Italiani, facendoci assistere alla loro confluenza nell’”avevodettismo”, compreso l’ineffabile Eugenio Scalfari?
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Link Originale: http://ilblogdilameduck.blogspot.com/2015/07/leuropa-germanica-hitler-e-oltre.html
Scelto e tradotto da Franco
Foto ed enfasi aggiunte
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