di Carloalberto Rossi e Giorgio Saibene
Come sempre quando si parla di relazioni italo-albanesi si produce, e spesso apposta, molta confusione, sia tra i diversi piani, relazioni tra i due popoli o relazioni tra i due governi, tra sostanza concreta e propaganda d’immagine, tra politiche e tattiche, tra storia vera e storia contraffatta dalla propaganda, tra amore e timore, tra convenienza e speranze, tra illusioni e miti, e molte altre sfaccettature ambigue che un rapporto storico lungo e complesso, e finora mai indagato senza le lenti della propaganda, ha prodotto nei secoli.
Che molti, moltissimi albanesi amino l’Italia non é discutibile, che l’Italia abbia sempre aiutato l’Albania non é discutibile, che questo abbia prodotto dei positivi risvolti nelle reali relazioni istituzionali tra i due paesi invece é sicuramente smentibile.
Che gli albanesi siano spesso generosi con chi é debole e in difficoltà é vero per personale esperienza di chi scrive, che gli albanesi, come cultura dominante nel popolo (con le dovute eccezioni), siano razionalmente, stabilmente e concretamente riconoscenti con chicchesia é invece in generale una considerazione piuttosto romanzata, troppo spesso smentita dalle cronache e dalla storia come testimoniato dalle tensioni interpersonali quotidiane della vita albanese.
Che il gesto di Rama abbia prodotto una enorme eco mediatica in Italia é sicuramente vero, e che questa eco abbia anche creato molte emozioni positive é altrettanto vero, ma che tutto questo sia enormemente sproporzionato alla reale dimensione della cosa é dimostrato dalla lista di quasi 10.000 medici e 20.000 infermieri italiani che hanno risposto all’appello del Governo per andare a lavorare temporaneamente negli ospedali e per un compenso materiale nettamente inferiore a quello dei “volontari” albanesi.
Purtroppo, ancora una volta, Rama e il governo albanese hanno scelto la via effimera della propaganda o, come la chiamano in Europa, della “comunicazione”, invece di quella più concreta e difficile della sostanza, e ancora una volta i molti osservatori italiani e molti albanesi d’Italia si sono fatti ingannare dell’emozione momentanea e non della reale bontà del prodotto “Albania”. In particolare questi ultimi dovrebbero considerare, invece di accendersi orgogliosi e grati alla propaganda del loro premier, come i loro commenti su Facebook dimostrano, che l’unico marketing positivo che può realmente migliorare la loro condizione di stranieri in via d’integrazione é la sostanza del lavoro e delle migliorate relazioni sociali, sia in Albania che in Italia. E si sono fatti ingannare ancora una volta proprio da quello stesso meccanismo che in definitiva li ha costretti alla fuga e all’emigrazione.
E il prodotto, che con questa geniale mossa di marketing abbiamo rivestito a festa, é quello, assai scarso, di un sistema che ancora una volta non riesce ad occuparsi dei propri figli e dei propri cittadini, ne in patria ne all’estero, ne per sfamarli, ne per curarli. E questo sistema potrà sopravvivere ancora un poco grazie a questa ed altre truffe mediatiche.
Nel sistema culturale cristiano la solidarietà, la pietà, la carità, si fanno in silenzio, perché vantarsene sarebbe un peccato grave, perché la carità si fa perché é giusto farla, e perché é un dono a Dio. Poi sono arrivati gli speculanti delle NGO e altri “pelosi” donatori privati che ci hanno costruito un business e uno strumento di dominazione, ma sugli aiuti alimentari italiani del 1991 c’era scritto semplicemente “Dono del governo italiano” e nessuno ricorda che il premier di allora fosse Giulio Andreotti, mentre cominciavano ad operare in Albania le decine di veri volontari senza volto e senza nome della Caritas e di tante altre organizzazioni realmente no-profit.
Insomma se il governo albanese avesse accompagnato 30 volontari veri e senza fanfare, allora avremmo potuto vedere un vero gesto solidale del popolo albanese, a maggior ragione se non si fossero inseriti i proclami retorici di un premier che da quasi sette anni continuamente irride all’Italia, in Albania come in Italia, non perdendo occasione per dileggiarne l’organizzazione sociale ed il popolo, permettendosi di spacciare continuamente numeri e storie false ma funzionali alla sua strategia comunicativa. E ad ancora maggior ragione se non ci fosse stato il follow-up di interviste a Rama a reti (e pensiero) unificate, che hanno di fatto trasformato uno spot per l’Albania in uno spot personale di Rama, il cui curato mito é ultimamente un pò appannato ed é quindi bisognoso di una “lucidata”.
Quello che abbiamo visto il 29 marzo é stata invece una grottesca sceneggiatura, vera e propria “photo opportunity” con i 30 “volontari” albanesi che scendono dall’aereo bardati con scenografiche tute protettive bianche, accolti al piede della scaletta da un altro grande speculante, e temo pure regista oltre che beneficiario della sceneggiata, l’improbabile ministro italiano degli Esteri, in definitiva figlio di quella stessa scuola del premier albanese secondo la quale é più importante comunicare che fare.
E qui, ahimé, é doveroso esprimere un dubbio, assai doloroso per chi si sente patriota delle due nazioni.
Ancora non é chiaro se questa sceneggiata nasca da una idea di Rama o se invece non nasca da una richiesta italiana, perché la reazione corale dei media filo-governativi in Italia lascia molto pensare, con sovraesposizione mediatica e un diluvio di editoriali sdolcinati e sproporzionati nei toni e nella retorica.
I media di regime in Italia da giorni sono impegnati nella propaganda di questo tema della solidarietà cinese, russa e cubana e ora albanese in qualche modo contrapposta alla mancata solidarietà europea.
Le truppe sanitarie delle ultime dittature del mondo vengono raccontate come un successo della nostra politica estera, ahimé ridotta, dopo tante proclamazioni di irrinunciabili principi democratici, a vantare il loro irrilevante ruolo nella crisi sanitaria anziché agire nelle sedi opportune per ottenere quello che eventualmente ci spetta come nazione.
Un governo debole e politicamente traballante (quello italiano), incapace di una risposta organizzativa efficace e tempestiva (come dimostra, tra le altre, la storia dei 9.000 medici e 20.000 infermieri disponibili ma ancora non arruolati e messi al lavoro) che si nasconde dietro a operazioni propagandistiche affidate a governi dittatoriali discendenti dalle peggiori storie comuniste, ognuno con le sue motivazioni “espansive”. E forse anche, almeno da parte italiana, per ricompattare il consenso della sinistra storica, sempre più nauseata dall’eccessivo distacco tra pseudo-elites e popolo, seducendola con le allusioni ad un passato che mai é stato vero e per distrarla da un presente ancor più falso.
E qui si evince come sia delirante la scelta di Rama in questo contesto, che accreditarsi come parte della pattuglia delle residue dittature ex comuniste (a cui presto si unirà la Turchia di quell’altro campione dei diritti umani di Erdogan), potrà forse consentirgli di soddisfare la sua presunzione di leader globale di mostrarsi in compagnia di Russia e Cina ma alla fine, passata l’emozione, questa sceneggiata sarà ricordata solo come una comparsata da utile idiota in una storia di pericolose dittature e vecchi dinosauri.
Nell’interesse dei due paesi e dei loro cittadini sarebbe meglio che i due governi si occupassero di questioni vere e non di propaganda, e che il governo italiano non elemosinasse a quello albanese ospitalità per i clandestini della nave Diciotti, o medici scarsamente preparati da impiegare temporaneamente in Lombardia, sarebbe meglio che il governo italiano, invece della propaganda di un giorno, pretendesse dal governo albanese una efficace e sincera azione contro il narcotraffico, magari facendogli riportare a casa le migliaia di “pusher trimestrali” (quelli che entrano con il visto turistico, spacciano due o tre mesi, e rientrano con il bottino) adesso bloccati in Italia senza visto, e magari che il governo albanese dimostrasse tutta questa solidarietà dando legalità, protezione e par condicio alle imprese italiane in Albania che in definitiva danno a molti albanesi un dignitoso pezzo di pane che il governo e gli oligarchi albanesi non sono capaci di dare loro. E che invece di spartirsi i fondi di cooperazione si impegnassero davvero per investirli in progetti veri e non la solita propaganda che produce solo carte fasulle e rinfreschi sontuosi. E che invece di essere complici nello sprecare fondi in costosissime partnership pubblico private per la sterilizzazione dei ferri chirurgici investissero i soldi nelle cose che servono davvero ai loro cittadini.
Allora non avrebbero più bisogno di sottrarre nel momento del bisogno 10 medici e 20 infermieri alle già scarse risorse albanesi, anche perché non avrebbero niente da dover dimostrare con questi sciocchi artifici, né in Italia, né in Albania.
E molti dei nostri amici albanesi in Italia e italiani in Albania potrebbero trovare il giusto rispetto e creare lavoro dignitoso, sia qui che lì.
E finalmente senza essere considerati solo in quanto eredi di Stalin, di Mao, di Castro o di Enver Hoxha.
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