Patchwork di Franco per mittdolcino.com
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Notizia della settimana: la Lega in Via delle Botteghe Oscure e Salvini berlingueriano.
Singolare. Credevo che dopo aver fagocitato Alberto Bagnai fosse su posizioni keynesiane.
Ma, a un’analisi più attenta, il liberista Salvini (pro-euro e pro-Draghi) è meno distante da Berlinguer di quanto si possa pensare.
Chi avesse dei dubbi troverebbe giovamento dalla rilettura di quest’articolo di Gianfranco La Grassa: https://www.mittdolcino.com/2020/05/01/buon-primo-maggio-la-verita-vi-rendera-liberi/
Un passo indietro.
Se per i “popolari”, “populisti”, “gente comune” — fate voi — l’obbiettivo è la massima occupazione, per i “liberisti”, per i “rentier”, l’obbiettivo è invece il contenimento dell’inflazione per massimizzare il rendimento dei loro investimenti.
E come si contiene l’inflazione?
Controllando le dinamiche salariali (poi ci sono gli shock esterni, ma è un altro discorso), il che significa “sindacati gialli”, immigrazione selvaggia, precarizzazione del lavoro (la vendetta del “liberismo” sui “moti sindacali”, peraltro eccessivi, degli anni ’70).
Con l’austerità, in sintesi estrema.
Eravamo nella seconda metà degli anni ’70 e Berlinguer fu abile nel cogliere la palla al balzo.
Per salvare le terga dell’apparato picci-ista (per un insider, il crollo sovietico era già del tutto evidente), per accreditarsi presso le oligarchie transnazionali, diventò lo sponsor principale dell’austerità — anche per superare, ça va sans dire, la “concorrenza”.
E il Popolo Italiano? Sacrificabile.
Del resto, chi meglio di lui per confondere le acque? Chi meglio dell’eroe dei “ceti popolari”, del tramite fra questi e la “borghesia”?
Oggi, cosa sia l’austerità lo abbiamo imparato a nostre spese entrando nell’eurozona.
Ma allora non c’era né informazione né consapevolezza. Le voci contrarie erano confinate nel limbo dell’insignificanza.
Grande evidenza, invece, per l’opinione del nobile sardo. Liberista come lo sbeffeggiato Salvini (al netto dello stile personale).
Stavolta, almeno, qualche peto s’è fatto sentire. Vado a scriverlo su Goofynomics.
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[Discorso di Enrico Berlinguer pronunciato all’Eliseo di Roma il 15 maggio 1977, S.C. Benvenuti, Castelvecchi, 2017, pag. 16-17].
“… [bisogna] abbandonare l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato sull’artificiosa espansione dei consumi individuali, fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse e di dissesto finanziario.
Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base …
Una politica di austerità deve avere come scopo quello di instaurare giustizia, efficienza e, aggiungo, una moralità nuova — ed è per questo che essa può, deve essere fatta propria dal Movimento Operaio.
Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta per sua stessa natura certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per le grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni.
Crea nuove solidarietà e, potendo così ricevere consensi crescenti, diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera di trasformazione sociale”.
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Risposta di Norberto Bobbio:
“Nel suo discorso Berlinguer dice che‘… l’austerità può diventare fattore decisivo di liberazione dell’uomo’.
Ma questo, secondo me, non è giusto, non è possibile … l’austerità è un processo negativo, mai positivo.
Quello che diventa mezzo di trasformazione è, anzi, ‘libertà’. La liberazione dal bisogno.
Evidente il retroterra reazionario di questa polemica anticonsumista.
L’austerità, in generale, è sempre una raccomandazione dei padroni. L’austerità, per i poveri, fa parte della loro vita.
E’ questo che mi sembra un po’ strano. Il povero è austero per necessità.
La critica di Berlinguer, paradossale, non tiene conto della differenza fra il consumismo del miliardario, che va in riviera e che ha la barca, e il consumismo del povero diavolo che si limita a fare il week-end e ad andare in campagna la domenica.
C’è una bella differenza.
Questa è una cosa su cui vorrei insistere. Non si può parlare di consumismo riferendolo in generale a tutta la società italiana. C’è consumo e consumo.
C’è il consumismo da nababbi che è un insulto alla misera … e c’è il consumismo di chi è finalmente riuscito a raggranellare qualche soldo e si fa la gita in macchina o in motocicletta la domenica. Non bisogna confondere”.
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Federico Caffè, a sua volta:
“La vera emergenza non è nell’economia, ma nel tentativo di bloccare ancora una volta l’ascesa (necessariamente convulsa) dei ceti popolari, mediante una normalizzazione di tipo moderato.
Non per nulla, l’istruzione impartita “nelle zone esclusive della città” viene considerata a priori come valida, mentre la fatica quotidiana intesa a rompere il monopolio delle conoscenze viene ritenuta, per definizione, squalificata e squalificante.
Ma che il palese fastidio per tutte le soluzioni non elitarie — e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo” a ogni aspirazione di avanzamento sociale — abbia la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste, è ciò che rende particolarmente amaro il periodo che viviamo”.
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Franco Leaf
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