Gli USA hanno un file bipartisan aperto oggi, per domani ed oltre: la sfida mossagli dalla Cina (e dalla Germania) non solo al suo dominio globale – tutto sommato un dettaglio – ma al suo benessere. Parlo del benessere di un paese che nei fatti ha vinto due guerre mondiali e che con i suoi consumi sostiene il mondo (vista la bilancia commerciale negativa di quasi 600 mld di dollari annui). Infatti la cosa apparentemente assurda è come la Cina possa pensare di sfidare un paese – gli USA, a capo del blocco anglosassone – quando lo stesso ex Impero Celeste dipende dai consumi del blocco che si vuole sfidare. Un’America ipoteticamente autarchica, che compri solo i beni prodotti al suo interno, non avrebbe problemi a mantenere il proprio benessere, visto che gli USA hanno tutto, tecnologia, risorse, accessi, forza militare anche solo per difendersi. Il resto del mondo invece, beh, semplicemente imploderebbe.
Or dunque, la sfida cinese – che poi è la stessa sfida mossa dalla Germania, basata sugli stessi presupposti e sugli stessi driver – dipende da fattori tecnici nel meccanismo storico di generazione di ricchezza messo in piedi dagli States post WWII. Infatti Washington mantenne un cambio fisso con Bretton Wood fino a quando era paese fortemente esportatore, con la bilancia dei pagamenti in surplus. Il vantaggio del meccanismo di Bretton Woods, avendo sufficiente oro disponibile in loco per bilanciare i surplus, sta nel permettere di non rivalutare la propria moneta in presenza di forte export ossia è perfetto per un paese fortemente esportatore. Ecco perchè Cina e Germania oggi (non domani, …) stanno rimpatriando e/o accumulano oro; infatti detti paesi che esportano enormemente vorrebbero oggi tornare a qualcosa di simile a Bretton Woods.
Gli USA ruppero il sistema di Bretton Woods quando andarono strutturalmente in deficit commerciale, con Nixon, ossia quando gli effetti della ricostruzione post WWII erano terminati (…). Da lì iniziò la politica del petroldollaro, ossia la necessità di inondare il mercato mondiale di dollari necessari per pagare il petrolio (di cui tutto il mondo necessita) quotato sui mercati strettamente in moneta americana. L’esportazione di valuta USA avvenne durante anni, fino all’accumulo enorme dei deficit commerciali americani che si sono man mano tradotti in debito nazionale prettamente cartaceo, più o meno post accordo del Plaza. Da lì in avanti gli USA usarono bellamente il verdone come merce di scambio per preziose merci fisiche, chiamasi privilegio di avere la valuta di riferimento globale.
Dunque, con l’avvento sulla scena della Cina, si finì col chiudere le imprese locali americane in quanto era più conveniente produrre in Asia. Ci fu una progressiva deindustrializzazione, graduale ma sistematica, che andò di pari passo con la inevitabile finanziarizzazione del mercato, figlia di questo enorme afflusso di dollari cartacei ad inondare il globo (oltre a progressivamente deflazionare via merci meno care il sistema occidentale, che mimò le mosse del dominus USA).
Il trend proseguì fino all’arrivo di Trump, che ebbe il mandato dai suoi cittadini – stufi ed impoveriti – di far tornare imprese e benessere diffuso in USA; infatti con il meccanismo globalista post-Plaza solo i globalisti esportatori/importatori e la finanza si arricchiscono, enormemente, concentrando per altro la ricchezza nelle mani di pochissimi; e nel mentre la gente comune stenta. Visto che la gente comune è ancora la maggioranza numerica, nel land of free i globalisti (locali e non, visto che esiste ormai un sodalizio internazionale tra globalisti) hanno trovato la soluzione diciamo democratica: far arrivare migranti che, col loro voto (pro-globalista, ossia Dem) avrebbero dovuto diluire la protesta. Tale soluzione, mirata a mantenere la ricchezza dove sta oggi, ovvero assieme a quella di Cina e Germania che sfidano gli USA, è stata guarda caso copiata da quasi tutti gli altri paesi occidentali, usandola come arma (soprattutto in Grecia ed Italia).
Ed eccoci ai giorni nostri, con la Cina cosciente della controsfida di Trump, mirata a fare gli interessi NON delle sue elites (di fatto al soldo degli interessi cinesi e tedeschi) ma della gente che lo ha votato; dunque Pechino deve cercare una risposta adeguata. E la risposta è semplice: trovare altri sbocchi per i beni prodotti dalla propria economia che necessita di perenne crescita (per assorbire la sua enorme forza lavoro), in previsione di una certa riduzione dei consumi USA; i quali se continuano ad indebitarsi – unitamente alle tensioni sociali interne spesso fomentate ad arte – rischiano di fare crack. Dunque ecco la ratio della Belt & Road initiative (BRI) dei Pechino, che alla fine punta ad approfittare dei prezzi occidentali elevati dei beni esportati prodotti dalla Cina, beni che sono nei fatti sempre più in competizione con quelli delle imprese locali. Il tutto con il fine ultimo di far crescere la sua economia ancora molto “rurale” e super-popolata da bocche da sfamare.
E’ incredibile come la stragrande maggioranza della gente del mondo occidentale, ad esclusione dei locali miliardari (globalisti) interessati a mantenere intonse le loro enormi ricchezze accumulate alle spalle della miseria imposta alla maggioranza dei loro stessi concittadini – miliardari interessati a passare dal capitalismo ormai ai capitoli di coda verso il il nuovo ossia verso il neofeodalesimo post-capitalistico – non capiscano che Trump lavorando contro la Cina (e contro la Germania) lavora anche per loro (…).
L’Italia in tale cotesto è cruciale in quanto si trova davanti all’Africa ed in più alloggia il maggior numero di basi e di bombe atomiche USA fuori dal territorio americano. L’Africa sarà infatti il futuro teatro degli scontri per le risorse e la Cina è dunque interessata a sterilizzare l’intervento americano in loco. Non fatevi forviare: Berlino è con Pechino, infatti si è affrettata a sottilmente denunciare – con Bruxelles a carro – l’errore italiano nella firma della BRI, visto che i tedeschi (e dunque la “loro” EU) hanno lo stesso obiettivo dei cinesi: separare Roma da Washington (per prendere possesso dell’EUropa spodestando la NATO filo USA, ndr).
Ora, l’accordo BRI, che va in firma in pompa magna a Palermo la prossima settimana, sarà un game changer, Xi sarà presente alla firma. Tradotto, da tale momento in avanti gli USA avranno campo libero nell’implementare le azioni che ritengono opportune per i loro specifici interessi senza dover pensare ad esempio a preservare l’integrità italica. Infatti abbattere l’EU sarebbe semplice, usando il crash italiano (ipoteticamente), per poi farlo diventare un caos venezuelano (con tutte le basi USA presenti sul territorio credetemi che non sarebbe così difficile, ndr). La cosa complicata era mantenere viva l’Italia attuale disintegrando il cd. “nemico” [visto che le elites politiche tedesche ormai pensano ad armarsi anche “nuclearmente” per difendersi dagli stessi USA, ndr]; ossia visto che per indirizzo tedesco l’EU sta andando a braccetto con Pechino quanto meno nella animosità antiamericana (anche se solo una minoranza di Paesi EU sono di tale avviso, …).
Da mercoledì prossimo gli USA, data della firma dell’accordo BRI con la Cina (Xi vuole addirittura la scorta militare aerea italiana per passare sopra Sigonella direzione Palermo, nemmeno Mattarella di norma ce l’ha, ndr) avranno campo libero; a tal punto il governo italiano sarà diventato tier-2 o tier-3. Leggasi, nemmeno consultabile preventivamente, trasformatosi ormai in un amico obbligato ma sui generis, almeno rispetto a 30 giorni fa. Faccio presente che a Washington sanno bene chi è responsabile dell’avvicinamento a Pechino, inutile quindi cercare di travisare, sembrerebbe esercizio sterile se non addirittura controproducente (…).
L’aspetto interessante è che la firma italiana al BRI di fatto è una sorta di “libera tutti”, mille equilibri anche in Medio Oriente ed oltre si sostenevano vicendevolmente con la necessità di tenere vivo l’alleato italiano. Dunque la (scellerata) decisione italica di sposare l’ipotetica benevolenza cinese rischia di diventare il catalizzatore degli eventi, anzi dei macro-eventi, mirati lato USA (che sono ormai obbligati a far qualcosa) a non soccombere alla sfida cinese. Tutto gira attorno al petrodollaro ed ai flussi correlati, vs. bilance commerciali dei rispettivi paesi oltre all’inflazione prospettica (purtroppo non si parla mai abbastanza di inflazione, credetemi).
Da qui la conclusione: la decisione italiana di firmare l’accordo BRI è stata letteralmente catastrofica, purtroppo temo che l’Italia ne pagherà dazio. E dunque chi l’ha voluta, opinione personale, penso avrà un’enorme responsabilità. Anche per le generazioni future. Anche per quelle attuali.
Mitt Dolcino
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