Cesare Sacchetti per La Cruna dell’Ago
L’appuntamento referendario del prossimo 20 settembre sarà un giro di boa per il Paese.
In vista di una eventuale e probabile approvazione del Si al taglio dei Deputati, stimata intorno al 66% dagli ultimi sondaggi, il volto dell’Italia non sarà più lo stesso.
Verrà reciso l’ultimo fragile filo che lega questo Paese all’architettura costituzionale del 1948.
Verrà ultimato un lavoro di smantellamento di quel sistema politico portato avanti in maniera scientifica negli ultimi 40 anni.
La riduzione della rappresentanza parlamentare sarà, in altre parole, la definitiva consacrazione del potere delle oligarchie e delle tecnocrazie sull’Italia.
Non che ora questo potere attualmente non sia preminente e predominante in ogni aspetto della vita pubblica italiana.
Ma la riduzione della rappresentanza parlamentare chiuderà l’ultimo spiraglio e verranno completamente spente quelle già flebili possibilità di mandare alla Camera o al Senato dei Deputati o dei Senatori che in qualche modo vogliano sottrarsi ai poteri che attualmente hanno in mano l’Italia.
Quando, negli anni’70, i grandi gruppi mondialisti del gruppo Bilderberg e della Trilaterale auspicavano la fine radicale delle Democrazie Costituzionali che avrebbero dovuto lasciare il posto a dei tecnocrati eterodiretti da apparati sovranazionali, avevano già in mente di ridurre il numero di eletti nei due rami del Parlamento.
Non è stato certo un caso se questo obbiettivo sia stato appositamente inserito nel programma della Loggia Massonica P2, intitolato “Piano di Rinascita Democratica”.
Il titolo del manifesto programmatico di questa loggia era già un ipocrita ossimoro perché, in esso, non c’era alcuna “rinascita” né traccia di democrazia.
La P2 era infatti un’espressione della NATO e della palude di interessi industriali, finanziari e militari che infesta Washington da molti decenni, nota da un po’ di tempo a questa parte con la locuzione di “Deep State”, lo Stato Profondo che è, in altre parole, il governo occulto di Washington.
E il Deep State, a sua volta, è uno dei bracci operativi del sistema di potere mondialista che ha praticamente indirizzato il destino politico ed economico dell’Unione Europea e degli stessi Stati Uniti negli ultimi decenni.
La riduzione del numero degli eletti, pertanto, è direttamente proporzionale ad accrescere ancora di più la già enorme influenza delle grandi lobby transnazionali che saranno in grado di tappare le ultime fessure — ed evitare così che nel sistema politico possa infiltrarsi qualcosa o qualcuno che non sia stato accuratamente selezionato da queste con largo anticipo.
Il Referendum appartiene all’antipolitica alimentata dalle élite mondialiste
Sarà, più semplicemente, il trionfo dell’antipolitica e non è stata affatto una mera casualità se negli ultimi 35 anni il regime mediatico e la stessa rappresentanza politica post-1992 abbia dato così tanto spazio a questa ideologia anti-istituzionale.
Per prendere il posto della vecchia classe dirigente della Prima Repubblica e del sistema partitico precedente, era necessario alimentare il sentimento di disprezzo del popolo nei confronti della politica.
L’operazione Tangentopoli, una Rivoluzione Colorata partorita proprio dal Deep State di Washington, ha avuto in questo senso un ruolo determinante.
I Magistrati del pool di Mani Pulite hanno iniziato scientificamente ad abbattere il sistema politico italiano scagliando una pioggia di avvisi di garanzia contro praticamente ogni politico in vista di allora, ovviamente con la dovuta eccezione del PDS che, nelle logiche di potere sovranazionali, era stato già scelto per eseguire l’agenda mondialista in Italia.
Da quel momento in poi la figura del politico è stata letteralmente vilipesa, associata in pratica a quella di un delinquente di professione.
Sotto questo aspetto, il sistema mediatico ha giocato un ruolo altrettanto determinante, dedicando il massimo spazio possibile alle tangenti prese da questo o quel politico, mentre taceva convenientemente su tutte le ruberie che la finanza anglosassone perpetrava contro l’Italia.
Su tutte, quella dello smantellamento dell’IRI e delle privatizzazioni a prezzi di saldo, messe in atto dall’allora direttore del Tesoro, Mario Draghi, che già occupava un posto speciale nella gerarchia neoliberista internazionale.
Fu un saccheggio mille volte superiore al costo di tutte le tangenti ma i media, ovviamente, si guardarono bene dall’evidenziare questa sproporzione.
Era necessario, allora come oggi, mettere alla gogna la politica e rappresentarla come il male assoluto, perché così facendo si accresceva ancora di più il potere delle grandi oligarchie.
La riduzione dei Parlamentari è esattamente in questa direzione che va, ovvero in quella dell’antipolitica che è stata il cavallo di Troia assoluto utilizzato dal mondialismo per conquistare completamente il Paese.
Da allora — e dopo le macerie lasciate dalla Magistratura e dai Governi Tecnici dell’epoca, che smantellarono nel biennio 1992-1993 buona parte dell’impalcatura costituzionale che aveva costruito il miracolo economico del dopoguerra — l’antipolitica è letteralmente dilagata.
E’ stata da allora una gara a dichiararsi “non politico”, iniziata con l’epoca del berlusconismo neoliberista e proseguita sotto l’egida del grillismo, che alla fine si è rivelato essere null’altro che una derivazione della “sinistra radicale giustizialista”, originaria della Rete di Orlando prima e dell’Italia dei Valori di Di Pietro poi.
L’Italia da allora vive in un vuoto politico.
Viaggia senza una guida perché ha subito la decapitazione della sua classe dirigente che, al netto dei suoi difetti e limiti, aveva portato il Paese ad essere la quarta potenza industriale del mondo.
Sul palcoscenico sono rimasti la sinistra progressista, fedele guardiana del vincolo esterno, e Berlusconi che, tra i suoi interessi personali e quelli della nazione, messo alle strette non ci ha pensato molto a scegliere i primi.
Il M5S è stata la creatura che si è presentata come feroce nemica del sistema, quando in realtà è stato il suo migliore alleato, facendo convogliare un enorme bacino di voti verso un Partito che aveva come solo obbiettivo quello di alimentare l’antipolitica ed evitare qualsiasi vera riforma che potesse mettere in discussione il vero apparato di potere sovranazionale che ha in mano l’Italia.
Il M5S, in altre parole, ha indebolito ancora di più la politica, potenziando ancora di più le grandi lobby che vogliono esautorare completamente il ruolo del Parlamento.
Il sistema, dal 1992 ad oggi, non ha fatto altro che alimentare accuratamente il filone anti-istituzionale per accrescere il rancore comune nei confronti della politica e portare così paradossalmente l’uomo della strada a tifare per i poteri che in realtà gli hanno portato via tutto il benessere conquistato con il precedente assetto economico e politico.
L’inesauribile filone editoriale dei libri che denunciano gli sprechi del barbiere di Montecitorio o delle condanne dei vari Deputati o Senatori è servito esattamente a questo.
A concentrare l’attenzione popolare su quelli che in realtà sono scandali o costi di bassissimo rilievo, se confrontati con quelli pagati sull’altare del vincolo esterno, tradotto nell’appartenenza all’euro e all’UE.
Il Parlamento difatti costa circa 1 miliardo di euro ma, se si prova a paragonare questo costo con quelli, ad esempio, dell’UE o dell’euro, si constaterà facilmente che i secondi sono enormemente superiori al primo.
Basti pensare al conto pagato dall’Italia al fondo salvastati, circa 60 miliardi di euro che avrebbero dovuto finire nelle tasche dei greci e che invece sono finiti nella pancia della banche franco-tedesche esposte con la Grecia — di fatto salvate dall’Italia.
Oppure ai contributi netti versati dall’Italia a Bruxelles negli ultimi 20 anni superiori ai 90 miliardi di euro.
Se poi a questi si aggiunge anche il costo della moneta unica, il costo — o, meglio, il danno — assume proporzioni ancor più rilevanti.
Tra i vari studi che si possono citare a questo riguardo c’è quello realizzato dall’istituto tedesco Cep, secondo il quale, il dazio della moneta unica è costato mediamente 73mila euro pro capite per ogni italiano dall’ingresso dell’Italia nell’euro, mentre di converso ha portato mediamente nelle tasche di ogni tedesco 23mila euro.
Se a questo si aggiunge il danno che ha portato l’euro all’industria italiana, i danni sono ancora maggiori.
Da quando l’Italia è entrata nell’euro la deindustrializzazione provocata da un tasso di cambio troppo pesante per i fondamentali macroeconomici dell’Italia è stata devastante.
Se dunque si fa una stima approssimativa dei danni del sistema UE–Euro comparato ai cosiddetti costi della politica, si può affermare che i primi superano tranquillamente i secondi di duecento volte.
Dunque, ridurre il numero dei Deputati non porterà nessun beneficio reale al cittadino medio che con il suo voto favorevole darà ancora più potere al sistema che invece ingenuamente pensa di punire.
E’ per questo che oggi è fondamentale schierarsi nettamente contro il Si e a favore del No.
Il No al referendum non metterà di certo fine al potere smisurato delle élite, ma almeno non lo accrescerà ancora di più.
L’opposizione schierandosi per il Si aiuta le tecnocrazie
L’opposizione avrebbe dovuto pronunciarsi subito con un No chiaro e netto e fare campagna a favore di questa scelta, nel tentativo di spostare più voti possibili.
Salvini, leader della cosiddetta opposizione di centrodestra, ha deciso invece di schierarsi per il Si, dichiarando che si potrà lavorare anche meglio con meno eletti.
Qualcuno ha fatto notare che il leader del Carroccio ha lasciato libertà di voto, ma questa non è di certo una sua generosa concessione, quanto una semplice evidenza che sarà possibile fino a quando sarà possibile esercitare liberamente questa facoltà.
Più semplicemente, l’elettore leghista che vuole votare No lo farà indipendentemente da ciò che dice Salvini.
Il compito di Salvini sarebbe stato quello di schierarsi contro il referendum e lottare fino all’ultimo voto per impedire che questo disastroso referendum passi.
Un’altra obiezione che viene fatta a questo proposito è quella che il leader della Lega non può fare retromarcia in nome della coerenza, dal momento che in Parlamento si è espresso a favore del taglio.
Ma perchè la coerenza viene chiamata in causa proprio ora, quando lo stesso Salvini lo scorso anno assicurava che il governo giallo-verde non sarebbe caduto, fino a quando non decise di farlo cadere proprio ad agosto dell’anno scorso sul bagnasciuga del Papeete?
E’ vero che questo punto è nel programma della Lega, ma è altrettanto vero che nel programma è enunciato chiaramente come obbiettivo il recupero della sovranità monetaria ed economica, dei propositi che ormai sembrano essere completamente tramontati da quando la Lega ha intrapreso la via del moderatismo.
Resta come obiezione quella che, se Salvini si schierasse per il No, i media a quel punto darebbero vita ad una campagna contro di lui, accusandolo di essersi rimangiato il voto in Parlamento.
Ma se l’opposizione vuole definirsi tale ed andare realmente contro il sistema, non può certo aspettarsi il plauso dell’apparato mediatico che è gestito da quelle stesse persone che sono schierate a salvaguardia degli interessi tecnocratici in Italia.
Se gli interessi nazionali richiedono una scelta di coraggio e di sostegno al No, è in quella direzione che si deve andare.
Non si può solo sperare che il proprio elettorato e quello altrui votino No.
Si deve spingere sia i propri elettori sia quelli degli altri Partiti verso quella scelta in nome di interessi comuni.
Ma è proprio questo che manca al Paese. Manca una visione del bene nazionale. Gli attuali partiti non sono altro che espressione di quel sistema di potere sovranazionale che domina l’Italia.
Nessuno ha il coraggio di uscire dal perimetro assegnatogli perché nessuno vuole irritare quei poteri e vedersi pregiudicata così la sua carriera nei partiti dominati dalle oligarchie.
La differenza tra uno statista e un politico di ventura è tutta qui. Il primo non guarda alle contingenze politiche immediate, ma ha una visione del Paese che si staglia sui decenni. Non ha paura di prendere una decisione controcorrente oggi per assicurare meglio gli interessi nazionali domani.
Il secondo invece tira a campare e non fa un passo senza prima dare uno sguardo al sondaggio del lunedì sera.
Il primo è al servizio della nazione. Il secondo è invece al servizio delle élite e si rimette alla loro mercé.
Il Sì di Salvini, dunque, è un ennesimo enorme regalo al sistema, dopo i complici silenzi-assensi sulla dittatura sanitaria, che potrebbe dar vita ad uno scenario ancora più agghiacciante.
Se infatti dovesse passare il Si, a quel punto si dovrebbero ridisegnare i collegi elettorali entro il termine di 60 giorni, previsto dalla Costituzione.
Di questi tempi, dove la legalità costituzionale è già saltata, non è affatto garantito che tale termine sia rispettato e i Partiti potrebbero approfittarne per tirare a campare.
Se dovesse esserci un’eventuale impasse istituzionale, il terreno già ampiamente favorevole preparato dalle élite per portare Draghi a palazzo Chigi sarebbe ancora più ideale.
A settembre, esploderà la coda della crisi economica scaturita dalle chiusure dei mesi scorsi e il Paese potrebbe trovarsi nel caos totale, tra proteste di piazza e probabili violenze.
A quel punto, quando la destabilizzazione socio-economica avrà raggiunto il suo culmine potrebbe affiancarsi ad essa quella istituzionale, e l’intero regime mediatico e partitico avrebbe gioco facile a chiedere l’ingresso in scena del “salvatore”, ovvero Mario Draghi.
Nei piani delle élite, Draghi è designato come colui che dovrà finire il lavoro iniziato nel 1992 e accompagnare l’Italia verso l’ultimo stadio del Nuovo Ordine Mondiale, nel quale non esisterà più possibilità di dissenso e dove le differenze economiche saranno paragonabili a quelle di un Paese dell’America Latina.
Paradossalmente a favorire la realizzazione di questo terribile scenario potrebbe essere proprio Salvini, colui che sulla carta dovrebbe invece contrastarlo, anche se non è chiaro se questo è quello che vuole veramente il leader della Lega.
Era lui infatti a marzo a scrivere parole entusiaste dedicate a Mario Draghi, considerato autore di una presunta conversione al keynesismo che in realtà non è mai realmente esistita.
Ora Salvini ultimamente aveva parlato dell’eventualità di arrivare alle urne anticipate, ma se si schiera per il Si non è certo questa strada che propizierà.
Se si vuole dare un avviso di sfratto al Governo, è fondamentale sostenere il No con tutte le proprie forze.
In caso contrario, le probabilità che passi il Si salgono ancora di più perché, se davvero il 66% degli italiani vuole tagliare i Deputati, è piuttosto probabile che lì dentro ci siano anche molti elettori leghisti che andrebbero invece convinti del contrario.
Se ci sarà il Si e non si arriverà ad una rapida ridisegnazione dei collegi, ci si avvicina ancora di più al 4 agosto 2021, la data oltre la quale Mattarella non potrà sciogliere le Camere perché si entrerà nel semestre bianco.
Da quel momento sarà praticamente finita e la legislatura arriverà quasi certamente alla sua scadenza naturale.
Il Paese si gioca tutto in questo lasso temporale e nessuno sembra avere il coraggio di fare quello che andrebbe fatto.
Tutti sono troppo presi dal curare il proprio piccolo orticello. L’Italia continua a viaggiare senza guida alla disperata ricerca di statisti che ancora non si affacciano.
Forse per tornare a vederli, bisognerà attendere che questa mediocre classe di politici di ventura crolli definitivamente e lasci il posto a qualcos’altro che possa portare l’Italia fuori da questo pantano.
La speranza è questa. Dopo un declino, c’è spesso una rinascita. L’Italia ha oggi come mai un disperato bisogno di rinascere.
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Link Originale: https://lacrunadellago.net/2020/08/31/il-si-al-referendum-consegnera-litalia-alla-troika-di-mario-draghi/
Scelto e pubblicato da Franco
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