Gianandrea Giani per La Nuova BQ
Il Rapporto Annuale del Pentagono sulle capacità militari cinesi riprende la tradizione “allarmistica” ereditata da quelli sul regime sovietico ai tempi della Guerra Fredda.
I noti “Soviet Military Power” nei quali il Pentagono illustrava, spesso ingigantendole (come apparve chiaro dopo la caduta dell’URSS), le capacità dello strumento militare di Mosca.
Quest’anno la minaccia cinese è stata particolarmente enfatizzata, nell’ottica di un confronto sempre più aspro su almeno tre importanti dossier:
— le responsabilità di Pechino nella diffusione del Covid-19,
— il potenziamento nucleare e convenzionale delle Forze Armate di Pechino,
— l’aggressiva politica espansionistica cinese nel Mar Cinese Meridionale e Orientale ai danni dei paesi rivieraschi.
Secondo il rapporto del Pentagono, nei prossimi dieci anni la Cina raddoppierà il numero delle testate nucleari, valutate in circa 200 ma che, secondo altre fonti, potrebbero essere il doppio.
Comunque, ben poca cosa rispetto alle migliaia di testate a disposizione di Russia e Stati Uniti.
Con esse Pechino punta a potenziare anche l’arsenale di missili balistici, compresi quelli intercontinentali — così sostiene il Rapporto “Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2020”, meglio noto come “China Military Power”.
“L’incremento delle armi nucleari va inserito nel quadro di un’espansione e modernizzazione delle armi nucleari cinesi”, ha spiegato il Sottosegretario alla Difesa, Chad L. Sbragia.
In un intervento all’American Enterprise Institute ha detto che l’obiettivo di Pechino è di potenziare le capacità nucleari e balistiche incentrandole, come Stati Uniti e Russia, su una “triade” composta da:
— vettori e testate lanciabili da terra (a corto e medio raggio, “anti-portaerei” fino agli intercontinentali DF 41),
— sottomarini (6 battelli lanciamissili balistici in servizio),
— bombardieri (i nuovi H-6N sono i primi con capacità di trasportare ordigni atomici).
Secondo il Rapporto, la Cina continua a investire anche nell’ammodernamento dello strumento militare cyber-offensivo e convenzionale, puntando a disporre di una “forza armata all’avanguardia nel mondo” per sfidare l’egemonia statunitense.
Del resto, fu lo stesso Xi Jinping a indicare il 2049, in occasione del diciannovesimo congresso del PCC (2017), come l’anno in cui la Cina dovrà essere una “potenza militare globale” mentre, entro il 2035, dovranno essere disponibili capacità militari competitive con quelle statunitensi.
Per raggiungere simili obiettivi Pechino dovrà disporre di una capacità di proiezione ben superiore a quella attuale, con due sole basi all’estero (Gibuti e le isole birmane delle Andamane).
Per poterlo fare, sta stringendo degli accordi per aprire basi militari in alcune aree del mondo — e punta a disporre di un buon numero di Portaerei, oltre alle tre oggi in servizio o in fase di completamento.
Il rapporto statunitense evidenzia che la flotta cinese conta su 350 navi da guerra (di cui 130 grandi unità da combattimento), rispetto alle 293 degli Stati Uniti, ma il confronto è volutamente fuorviante.
La Marina USA dispone di ben 10 grandi Portaerei e altrettante navi da assalto anfibio tutto-ponte in grado d’imbarcare Cacciabombardieri F-35B.
Inoltre, le navi da combattimento e i sottomarini statunitensi sono più avanzati tecnologicamente di quelli della Marina cinese che, seppur in grande crescita, dedica ancora buona parte delle sue navi alle operazioni costiere.
Il Rapporto del Pentagono attribuisce alle Forze Aeree cinesi 2.500 velivoli — di cui duemila da combattimento — e sottolinea come l’aeronautica stia “rapidamente raggiungendo le forze aeree occidentali in una vasta gamma di capacità e competenze”.
Come dimostrato dalle capacità anti-satellite e dall’attuazione di operazioni anti-access/area-denial (A2AD) nelle aree marittime e insulari del Mar Cinese Meridionale, contese con gli Stati vicini.
Pechino ha creato arbitrariamente delle “bolle di sicurezza” per dissuadere velivoli di altre nazionalità a sorvolarle.
Capacità rafforzate con lo sviluppo della versione locale del sistema di difesa aerea a lungo raggio russo S-300 e con l’acquisto in Russia del più efficace S-400.
Con il Rapporto, Washington vuole destare attenzione sul massiccio riarmo cinese, per creare un cordone di alleanze in grado di “contenerlo”: più o meno la stessa strategia adottata negli anni ’50 e ’60 nei confronti dell’Unione Sovietica.
Il Segretario alla Difesa, Mark Esper, ha visitato le basi militari e gli alleati che si affacciano sul Pacifico.
Ha presentato la proposta del Dipartimento di Stato statunitense: un’intesa con Australia, India e Giappone volta ad aumentare la cooperazione militare in funzione anticinese e a ridurre le relazioni economiche con Pechino.
Presentando il Rapporto, lo stesso Esper ha voluto evidenziare un aspetto politico enfatizzato più spesso negli Stati Uniti che in Europa: le Forze Armate cinesi, cioè l’Esercito Popolare di Liberazione “non serve il popolo cinese o una Costituzione, ma il PCC e il suo tentativo di minare regole e norme in giro per il mondo”.
Inevitabilmente, da Pechino sono piovute forti critiche ai contenuti del Rapporto definito “pieno di pregiudizi”, espressione di una “mentalità da guerra fredda” e teso a sostenere “la teoria della minaccia militare cinese”.
I Ministeri di Difesa ed Esteri cinesi hanno negato che Pechino intenda raddoppiare le sue testate nucleari in 10 anni, sostenendo che si tratta di un documento “totalmente sbagliato”.
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Link Originale: https://www.lanuovabq.it/it/la-nuova-guerra-fredda-gli-usa-lanciano-lallarme-sulla-minaccia-militare-cinese
Scelto e pubblicato da Franco
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