Giorgio Lo Grasso per Arianna Editrice
Dopo le recenti manifestazioni svoltesi a Berlino e Londra, con migliaia di cittadini accorsi per dissentire a vario titolo sulla gestione dell’emergenza Covid, la levata di scudi del “mainstream Dem” contro di essi è stata unanime e più che mai feroce.
La tecnica per screditare i dissidenti è sempre la stessa: ridurli in blocco, “ad hominem”, in “complottisti” (la Repubblica), “negazionisti” (il Manifesto) o, come Travaglio ha fatto sul Fatto Quotidiano, in “scemi no-mask” …
Chiaramente, nessuna delle testate giornalistiche sopra citate si è minimamente sognata di analizzare i motivi della protesta, né tanto meno di spiegare l’uso delle “categorie” a cui si è ricorso per inquadrare coloro che criticano determinati messaggi dell'”ufficialità pandemica”.
Eppure, visto il dilagare del dissenso, un’analisi di questo tipo sarebbe oggi opportuna, anzi necessaria.
Negli ultimi anni il “complottismo” sembra infatti essersi riqualificato: da risibile tara intellettuale di pochi disadattati a un’emergenza sociale ed … economica.
Ma evidentemente lo scopo di certa stampa, oltre modo allineata al potere, non è più quello d’informare il lettore, ma semmai di consolidare (tramite reiterazione) il potere stesso e il sistema di idee cui il lettore è abituato, senza fornire alcun contributo informativo sulla formazione di quelle stesse idee.
E così nessuno parla più di complotto, ma si taccia di “complottismo” proprio chi invece i complotti non solo non li fa, ma addirittura vorrebbe svelarli e denunciarli.
La premessa più ovvia è che i complotti sono sempre esistiti.
Fanno parte del complicato bagaglio della storia e delle relazioni socioeconomiche sicché, credervi, non è mai stato indice di malattia né tanto meno di complottismo.
Ricordate come nel 2001-2003 i “governi democraticamente eletti” cospiravano per far credere ai propri elettori che in Iraq si progettava lo sterminio dell’umanità, così da poterlo radere al suolo a spese di tutti e a beneficio di pochissimi ?
Il “complotto” fu successivamente smascherato e lo fu anche quello che, nel 2010, permise a poche case farmaceutiche di vendere miliardi di vaccini, facendo credere al mondo che il virus H1N1 (la suina) avrebbe causato una pandemia catastrofica (l’Italia nel 2011 buttò letteralmente nel cesso circa 10 milioni di dosi di quel vaccino, comprato a spese del SSN!).
Ai sostenitori di questi complotti, conseguentemente etichettati come complottisti, nel primo caso si opponeva la tesi istituzionale secondo cui in Iraq i terroristi erano finanziati e addestrati da un miliardario pazzo e, nel secondo, che senza vaccino milioni di umani sarebbero morti in breve tempo e raccolti sui marciapiedi.
Quanto sopra osservato mette seriamente in crisi le pretese epistemologiche di chi si spende oggi contro la piaga del complottismo.
Infatti, a prescindere dalla verosimiglianza e razionalità delle ipotesi messe in campo oggi dai complottisti, il solo fatto di “squalificarli” per la loro adesione a idee “non ufficiali” è antiscientifico in partenza, perché implica una “fallacia ad auctoritatem”.
Essendo l’ufficialità un attributo politico, non epistemologico, non può essere associato “tout court” alla correttezza, al rigore, al buon senso … insomma, alla verità.
Il suo messaggio esprime semplicemente la fiducia del destinatario nel sistema politico che lo sancisce, non nel messaggio stesso.
Quella del complottismo è quindi una mera questione di “auctoritas” e poco importa se sono loro, poi, gli inquisitori stessi, i primi a violare l’obbligo della critica delle fonti.
Se oggi i complottisti sono antiscientifici, qualche secolo fa sarebbero stati eretici, empi o blasfemi.
Scientifico o meno, il complottismo è sempre stato un indicatore di fiducia nell’autorità. Per questo i giornali di regime non se ne occupano se non in chiave denigratoria.
Negli ordinamenti democratici moderni, dove non esiste formalmente una verità di Stato da imporre con la forza pubblica, l’adesione dei cittadini ai messaggi approvati dal sistema di potere in carica misura la loro disposizione ad accoglierne l’agenda politica.
Detto in maniera più semplice, la lotta al complottismo è oggi una lotta per il consenso.
Oggi l’intero arco delle TV e i maggiori gruppi editoriali sono diventati i custodi del consenso, per loro la “semantica del complotto” è fondamentale che sia riqualificata come “disturbo mentale”, ossessione persecutoria, mera idiozia che non merita l’attenzione dei sani …
La pratica di dichiarare pazzi gli oppositori politici è comune a molti regimi.
Nella Russia sovietica lo psichiatra Andrei Snezhnevsky e i suoi collaboratori ritenevano che il dissenso politico fosse il sintomo di una (mai udita …) “schizofrenia latente”.
Nell’odierna caccia al complottismo, chi contesta la vulgata ufficiale della pericolosità sterminatrice di Sars-Cov-2, o l’efficacia dei vaccini, o la loro non pericolosità, viene trattato come persona socialmente pericolosa.
Uno squilibrato. E così la squalificazione “ad personam” raggiunge la repressione fisica nell’imposizione di un TSO, come accaduto e come suggerito da più parti politiche, persino dal Ministro della Sanità Speranza.
Il risultato manipolatorio, come acutamente sostenuto da “Il Pedante”, è quello della “paura della paura”.
Il timore che chi presiede i centri del potere politico, finanziario e imprenditoriale possa agire contro l’interesse delle comunità per realizzare i propri particolari e inconfessati interessi — e che lo faccia mentendo per non compromettere il consenso — è da reprimere per non apparire deboli e malati.
Non importa se alla follia di certe teorie complottiste corrisponda la dimostrata follia di certe azioni del potere in carica: la mascherina all’aperto, le sedie a rotelle, la chiusura generalizzata di un’intera Nazione, ecc.
Nel paradigma del complotto, per gli “ufficialisti” le narrazioni alternative sono solo paranoie, paranoiche in quanto tali.
Così, purtroppo, “gli abusi e le menzogne necessarie a coprirli, laddove esistono, si trasformano in complotti non per il machiavellismo di chi li ordisce, ma per la complicità di chi non li denuncia. Per paura di averne paura”.
Continua Il Pedante: “L’idea di complottismo integra uno dei tanti volti della tecnocrazia, perché mortifica le opposizioni dialettiche e quindi la sorveglianza democratica (svolta proprio dai complottisti … ndr).
Suggerisce l’idea di un buon governo in quanto tale e di un rigore scientifico garantito da chi ha la forza di reclamarne la titolarità, non dai suoi risultati.
In ciò promette ai governati il vanto della salute mentale e di immaginarsi, dopo millenni di lotte tra chi esercita il potere e chi lo subisce, al capolinea della storia.
Cittadini di un mondo vocato al bene comune dove il sospetto è obsoleto e la paura un peccato”.
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Link Originale: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/chi-ha-paura-dei-complottisti-e-perche
Scelto e pubblicato da Franco
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