Matthew Karnitsching per politico.eu
John McCain era di umore malinconico.
Era la primavera del 2017 e stavo andando a trovarlo, per quella che sarebbe stata l’ultima volta, nel suo ufficio al Senato.
Dopo avermi raccontato le ultime novità sul nostro Stato, l’Arizona, McCain si rivolse verso un’altra delle sue passioni: l’Europa.
Il Senatore era appena tornato da un viaggio attraverso i Balcani ed era preoccupato perché né Washington né gli europei prestavano sufficiente attenzione alla situazione della sicurezza in quel paese e in tutta la regione, soprattutto per la minaccia rappresentata dalla Russia.
Che cosa dire dei tedeschi, chiesi, sapendo quanto McCain fosse frustrato dalla posizione assunta nel corso degli anni da Berlino riguardo la Russia.
(Nel 2015 McCain, infuriato per il rifiuto di Berlino a cooperare nell’armare l’Ucraina, disse che il percorso di Angela Merkel gli ricordava “le politiche degli anni ’30”, un chiaro riferimento alla sfortunata strategia di pacificazione del Regno Unito nei confronti di Hitler).
McCain, che non aveva mai abbandonato il linguaggio vernacolare dei suoi giorni da “Pilota di Caccia”, venne fuori con un sorriso malizioso: “I fottuti tedeschi. Cosa c’è da dire?”
Se fosse ancora vivo, McCain avrebbe molto da dire sulla politica estera del Governo Merkel.
Dalla morte di McCain nel 2018, la Germania si è rifiutata di sostenere gli Stati Uniti su quasi tutti i fronti della sua politica estera, sia che riguardassero la Cina, la Russia, l’Iran, Israele o il Medio Oriente in generale.
Nel frattempo, Berlino continua a non raggiungere gli obiettivi di spesa per la Difesa e le pratiche del Ministero sono una commedia degli errori.
La tentazione è di dare la colpa per questa nuova divisione transatlantica a Donald Trump, per aver messo in discussione gli obiettivi della NATO e per il suo amore-odio sia per la Merkel che per la Germania, la terra dei suoi avi.
McCain, che non era un fan di Trump, si unirebbe senza dubbio a quel coro.
Ma, probabilmente, sottolineerebbe che le divisioni sono antecedenti a Trump e si basano su una questione fondamentale: da che parte sta la Germania?
Nessuno, da una parte e dall’altra dell’Atlantico, sta più cercando di mettere in sordina le profonde differenze.
Di recente, ho chiesto a Christian Lindner, il leader dei Liberal-Democratici tedeschi, un Partito apparentemente filo-americano, quali fossero le sue aspettative per il partenariato tedesco-americano.
La sua risposta: “A quali relazioni transatlantiche si riferisce? Esistono ancora?”.
Con le relazioni tedesco-americane ai minimi storici dalla 2a Guerra Mondiale, la frustrazione di McCain nei confronti della politica tedesca ci ricorda che l’esasperazione dell’establishment transatlantico americano nei confronti della Germania è profonda e bipartisan.
Il dileggio di Trump ha fatto dimenticare a molti tedeschi che anche Barack Obama fece pressioni su Berlino perché spendesse di più per la Difesa.
Il primo Presidente a criticare gli europei per essere degli scrocconi fu Obama!
Questa storia suggerisce che le speranze di Berlino perché i legami tra Stati Uniti e Germania ritornino in qualche modo alla precedente normalità, se fosse Joe Biden (un caro amico di McCain) a vincere le Elezioni, non sono solo esagerate: sono pura fantasia.
NON SI TORNA INDIETRO
Un grande motivo perché non si possa tornare indietro è l’attenzione di Washington per la Cina, una delle poche aree di consenso bipartisan al di là delle divisioni politiche americane.
“Mentre la politica estera statunitense si concentra sempre più sulla concorrenza strategica della Cina — e subordina le relazioni con gli alleati di lunga data a quest’assoluta priorità — l’Europa si troverà di fronte a scelte difficili, chiunque sia il Presidente”, ha osservato di recente Hans Kundnani della Chatham House.
Tuttavia, c’è una spiegazione più prosaica sul motivo per cui non si possa riportare indietro l’orologio transatlantico: a trent’anni dalla fine della Guerra Fredda, è diventato sempre più difficile spiegare agli americani perché il Paese debba essere presente in Europa.
Questo è particolarmente vero per la presenza militare americana in Germania, paese cui gli Stati Uniti hanno ancorato l’impegno europeo.
Gli attacchi di Trump alle modeste spese militari di Berlino possono anche scatenare l’indignazione della Germania ma, negli Stati Uniti, sono considerati fra le sue affermazioni meno controverse.
Forse perché ha ragione, esattamente come Obama prima di lui.
Perché gli Stati Uniti dovrebbero continuare a sostenere il peso finanziario della protezione del paese più ricco d’Europa?
A questa domanda sarebbe ancor più difficile rispondere se si considerassero gli impegni della Germania verso la Russia — ad esempio il gasdotto Nord Stream 2 — nonostante le forti obiezioni degli Stati Uniti e di qualche altro alleato.
Il mese scorso Wolfgang Ischinger, ex Ambasciatore Tedesco negli Stati Uniti e ora Presidente della “Conferenza sulla Sicurezza di Monaco”, il meeting annuale dell’Alleanza Transatlantica, ha messo in guardia contro la cancellazione del Nord Stream 2 come conseguenza del sospetto avvelenamento del leader dell’opposizione russa, Alexei Navalny, con un agente nervino.
L’interruzione del progetto avrebbe “scatenato un ululato di gioia nell’Amministrazione Trump”, ha dichiarato Ischinger in prima serata alla televisione tedesca.
In altre parole, era più importante mantenere la parola data alla Russia piuttosto che concedere a Trump una parvenza di vittoria, soprattutto dopo le minacce di Washington di sanzionare chiunque fosse collegato al progetto.
Non importa che gli Stati Uniti siano presumibilmente l’alleato più stretto di Berlino, con truppe e armi nucleari stazionati in Germania per proteggerla in particolare dalla Russia.
Finora, il Governo Tedesco ha seguito il consiglio di Ischinger mostrando scarsa propensione ad abbandonare il gasdotto, una mossa che Berlino teme possa ulteriormente provocare Vladimir Putin.
Parte del calcolo tedesco di resistere alle pressioni americane è la convinzione che gli Stati Uniti abbiano bisogno della Germania quasi quanto la Germania abbia bisogno degli Stati Uniti.
L’approccio di Trump “ha conseguenze dannose più per gli Stati Uniti che per la Germania”, ha dichiarato recentemente Norbert Röttgen, il Presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento Tedesco e candidato a sostituire la Merkel, riferendosi alla decisione di Trump di ridurre di circa un terzo il numero delle truppe americane nel paese.
“E’ difficile lavorare con questo tipo d’irrazionalità”, ha concluso.
UN CALCOLO DISCUTIBILE
Tuttavia, il nucleo di quest’argomentazione — che gli Stati Uniti abbiano bisogno della presenza in Germania per “proiettare il loro potere” e per portare avanti le “guerre senza fine” in Medio Oriente — era radicato più nell’Amministrazione di George W. Bush che in quella che sarà la strategia degli Stati Uniti negli anni a venire, quando Washington ri-orienterà la sua attenzione e le sue risorse sull’area Indo-Pacifica.
Nonostante questo cambiamento strategico e le profonde tensioni fra Germania e America, dire “Auf Wiedersehen” è tutt’altro che semplice.
La lobby transatlantica — una zuppa di Think-Tank tedeschi e americani, popolati da un variegato assortimento di Accademici, Generali e Ambasciatori in pensione, alcuni sul libro paga del “complesso militar-industriale” — è intenzionata a preservare il rapporto, qualunque cosa possa accadere.
Lo stesso vale per molti membri del Congresso, compresi i Repubblicani.
Alcuni osservatori ritengono che il modo migliore di procedere sarebbe quello di “ridefinire” la Nato, spostando maggiormente il peso sull’Europa.
Nonostante negli ultimi anni Washington abbia fatto qualche progresso su questo fronte, spingendo gli altri membri a dedicare più risorse ai loro militari, gli Stati Uniti continuano a rappresentare ca. il 70% della spesa totale per la Difesa dei membri della NATO.
“Bisogna uscire dalla mentalità che si tratti di un “protettorato” … è corrosivo per entrambe le parti” — ha detto Dan Hamilton, una voce di spicco negli affari transatlantici — “Se gli americani assumessero un atteggiamento paternalistico nei confronti degli europei, significherebbe che gli europei non devono fare molto”.
La Germania, anche se di recente ha speso di più, è fortemente in ritardo nella Difesa.
L’Esercito del Paese è talmente disfunzionale, dopo anni di abbandono, da rendere difficile vedere all’orizzonte un qualche fondamentale miglioramento.
Meno della metà dei tedeschi, del resto, pensa che la spesa militare debba aumentare, secondo un recente studio della “Conferenza sulla Sicurezza di Monaco”.
La percezione pubblica degli Stati Uniti, in Germania, raramente è stata peggiore.
Solo il 26% dei tedeschi ha una visione “positiva” degli Stati Uniti, secondo uno studio della Pew pubblicato il mese scorso: il tasso più basso dopo quello del Belgio.
Questo fatto contrasta con le valutazioni favorevoli agli Stati Uniti, che si attestano tra il 40 e il 45%, in Spagna, Italia e Regno Unito.
Una percentuale altrettanto bassa di tedeschi (27%) considera gli Stati Uniti come il più importante alleato militare del Paese, secondo lo studio della “Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera”.
Circa la metà dei tedeschi ha dichiarato che è la Francia l’alleato più importante del Paese.
Su una base puramente oggettiva, i risultati sono sconcertanti.
Piaccia o meno ai tedeschi, la dipendenza dagli Stati Uniti, per la loro sicurezza, è a tutti gli effetti totale.
Dopo il programmato ritiro delle truppe, gli Stati uniti continueranno ad avere più militari in Germania che in quasi tutti gli altri paesi del mondo.
La loro presenza — che il loro scopo primario sia o meno quello di proteggere la Germania — si aggiunge all’”ombrello di sicurezza” garantito dall’arsenale nucleare americano.
Nonostante la dipendenza economica tedesca dagli Stati Uniti sia un po’ diminuita, con l’ascesa della Cina, l’America resta il più grande mercato d’esportazione della Germania e un centro di produzione chiave per BMW e Siemens.
La maggior parte dei commentatori attribuisce la triste opinione che i tedeschi hanno degli Stati Uniti alla loro viscerale antipatia per Trump. Ma questa è solo una parte della storia.
Gli americani credono che la maggior parte dei tedeschi si senta ancora in debito con gli Stati Uniti per averli riabilitati dopo la 2a Guerra Mondiale e per aver spianato loro la strada della riunificazione … ma si prendono in giro da soli.
Anche le élite del Paese vedono l’America più che altro come un mercato, nella migliore delle ipotesi.
I recenti sconvolgimenti sociali negli Stati Uniti hanno convinto molti tedeschi che il paese che un tempo ammiravano è tutt’altro che un modello, soprattutto per quanto riguarda le norme democratiche.
“È un sistema profondamente ingiusto, e per certi versi antidemocratico”, ha concluso Michael Butter, Professore tedesco di Letteratura Americana, durante un recente dibattito sulla campagna statunitense alla radio tedesca.
Il panorama mediatico tedesco è diventato la “camera d’eco” dell’idea che l’America sia uno Stato profondamente difettoso, razzista e semidemocratico, pieno di fanatici della religione e delle armi, praticamente sull’orlo del collasso e/o di una guerra civile.
Il messaggio di fondo: Trump è solo il sintomo di disfunzioni molto più profonde.
Se questa narrazione ha preso piede anche in altri Paesi (compresi gli stessi Stati Uniti), raramente viene raccontata con tanto fervore o mancanza di sfumature come in Germania.
Sembra quasi, a volte, che i tedeschi quasi desiderino che Trump venga rieletto, semplicemente per poter dire “ve l’avevamo detto”, paventando chissà quali disastri.
Che questo schadenfreude [gioia per le disgrazie altrui] sia radicato nel senso di superiorità culturale del Paese, nell’umiliazione subita per mano degli Stati Uniti in due Guerre Mondiali, o una qualche combinazione di queste due cose, lo si può facilmente intuire.
“La nostra amicizia con l’America non è mai stata veramente sincera”, mi ha confidato recentemente un membro di spicco della CDU.
PAZZO E CATASTROFICO
Un nuovo bestseller tedesco che riesce a ben incanalare l’umore attuale si intitola “Crazed, The American Catastrophe”.
Il libro (e l’omonimo documentario che uscirà questa settimana) sostiene che gli Stati Uniti si siano trasformati in “una nazione arrabbiata unita nient’altro che dall’odio”.
Klaus Brinkbäumer, il coautore, è un ex redattore dello Der Spiegel ed è stato responsabile del famoso disegno su una copertina del 2017, in cui Trump decapita la Statua della Libertà, in stile ISIS.
“Crazed” è il seguito della sua opera del 2018, “America’s Obituary”.
(Brinkbäumer era anche il Capo dell’ex reporter di punta dello Der Spiegel, Claas Relotius, che per anni ha affascinato i lettori con storie fantasiose che hanno alimentato i cliché tedeschi sulla vita americana, fino a quando non è stato smascherato. Una frode giornalistica, le sue storie erano piene di falsità).
Con una costante copertura mediatica antiamericana, non c’è da stupirsi se molti tedeschi abbiano espresso più sollievo che allarme per la decisione di Trump di ritirare le truppe americane.
Quasi la metà dei tedeschi sostiene la decisione, secondo un sondaggio condotto da YouGov in agosto.
Un quarto dei tedeschi, invece, vuole che gli Stati Uniti ritirino tutte le truppe, mentre meno di un terzo sostiene il mantenimento dell’attuale livello, ca. 36.000 unità.
Se l’antiamericanismo tedesco è una lunga storia fatta di alti e bassi, il sentimento attuale si basa su profondi disaccordi politici che saranno difficili da ignorare, indipendentemente da chi occuperà la Casa Bianca.
Analogamente al suo approccio morbido nei confronti della Russia, Berlino è stata riluttante ad adottare misure che potessero mettere a repentaglio le sue relazioni economiche con la Cina, un partner commerciale chiave.
Se anche Biden dovesse vincere — la maggior parte dei tedeschi sta pregando per questo — non c’è motivo per aspettarsi che la posizione della Germania sulla Cina cambi, vista le realtà economiche in gioco.
E, anche se i consulenti di politica estera di Biden (la maggior parte dei quali ha servito nell’Amministrazione Obama) sono noti ammiratori della Merkel, questa non resterà in giro ancora per molto.
La Cancelliera ha detto che si dimetterà alla fine del suo attuale mandato, il prossimo autunno.
L’unico candidato in corsa per sostituirla, Röttgen, è considerato un mistero (ma, probabilmente, si discosterà dalla sua politica estera).
Un’altra domanda che si pone, sul lungo termine, è cosa succederà dopo la scomparsa di Biden. L’establishment politico tedesco è effettivamente alleato con il Partito Democratico.
Questo fatto non sarà dimenticato dai Repubblicani, quando torneranno al potere.
Quello che preoccupa anche gli strateghi di Berlino è che la Germania non ha preparato alcuna strategia se Trump riuscisse a farsi rieleggere.
Tutti sanno che la Germania resterebbe esposta, con il futuro della Nato in dubbio.
Maximilian Terhalle, analista strategico e studioso tedesco, sostiene che il riflesso della Germania sarà quello di rivolgersi verso Parigi, abbracciando la visione francese di “autonomia strategica europea” e un’architettura di sicurezza “che si estenda da Lisbona agli Urali”.
Ciò comporterebbe un ulteriore riavvicinamento (concessioni) alla Russia, cui la Polonia e i Paesi Baltici resisterebbero con le unghie e con i denti.
L’Europa sarebbe divisa sulla sicurezza, con alcuni Paesi che si affretterebbero a stringere accordi bilaterali con gli Stati Uniti.
Ma ci sarebbe un chiaro vincitore.
“Il mantra di Putin, che la fine della Guerra Fredda non era il verdetto finale della storia, potrebbe alla fine verificarsi”, ha detto Terhalle.
In altre parole McCain, che si riteneva avesse torto sulla Germania, potrebbe invece aver avuto ragione.
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Link Originale: https://www.politico.eu/article/donald-trump-joe-biden-angela-merkel-us-germany-transatlantic-relationship/
Scelto e tradotto da Franco
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