Andrea Zambrano per La Nuova BQ
Silenziosamente, l’Ivermectina sta facendosi largo nell’incerto panorama delle terapie di contrasto al Coronavirus.
Dopo alcuni promettenti studi scientifici, anche in Italia ci si sta accorgendo che l’utilizzo dell’Ivermectina, nella cura del Covid, possa dare dei risultati importanti.
È presto per cantare vittoria perché, come si è visto per farmaci come l’Idrossiclorochina, quando si entra nel campo della medicina subentrano molte variabili, non ultime quelle industriali — ovvero di “politica farmaceutica” — che rischiano di vanificare gli sforzi.
Però, la storia dell’antiparassitario già utilizzato contro alcune malattie tropicali merita di essere raccontata.
Soprattutto adesso che anche in Italia qualcuno lo sta usando con successo.
A Catania, ad esempio, il Professor Bruno Cacopardo del Garibaldi Nesima ha riferito di aver curato alcuni pazienti affetti da una seria polmonite e di aver ottenuto un successo insperato:
«Abbiamo utilizzato questo antiparassitario in quattro casi gravi di polmoniti bilaterali, con i pazienti soggetti ad alti flussi di ossigeno e, dopo l’inserimento nella terapia dell’Ivermectina, si è registrato nell’arco delle successive 48 ore un miglioramento impressionante del quadro clinico, con importanti benefici sull’ossigenazione».
Anche i ricercatori dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria a Negrar (Verona) hanno condotto alcuni test dai quali emerge che l’Ivermectina, utilizzata comunemente per scabbia o pidocchi, è efficace per ridurre la carica virale del 99,99% nelle cellule coltivate in vitro, in sole 48 ore.
Nel mondo, c’è un interesse sempre crescente verso questa sostanza, che costa appena 12 centesimi a dose.
L’Università di Liverpool, ad esempio, ha dimostrato una diminuzione dei ricoveri e tassi di sopravvivenza superiori all’83% dopo la sua somministrazione.
Ma come funziona il meccanismo d’intervento di questo farmaco?
E come è stato possibile che alcuni medici nel mondo si siano interessati al suo utilizzo?
In pochi lo sanno, ma il merito è tutto italiano.
L’Ivermectina, come risorsa nella guerra contro il Covid, affonda le sue radici in una scoperta dell’Istituto di biofisica del Cnr che ha sede a Milano.
La scoperta avvenne nel 2009 grazie a un lungo e approfondito studio computazionale e sperimentale su alcune proteine virali, e portò al deposito di un brevetto che, purtroppo, per mancanza di fondi non fu portato avanti.
Autori dello studio furono la Dottoressa Eloise Mastrangelo (foto sopra) e il Dottor Mario Milani, che guidano il gruppo di biologia strutturale.
«Lavoriamo sui virus RNA dal 2005 — spiega la Dottoressa Mastrangelo alla Bussola — e in particolare su quelli che vengono chiamati “virus neglected”, trascurati fino a poco tempo fa perché parte di quei virus riguardano le popolazioni povere del pianeta».
I vostri studi sul virus sono di tipo biochimico e quindi non clinico?
Studiamo i meccanismi di funzionamento dei virus. Per replicarsi devono entrare nella cellula ospite e usare le proteine che servono loro per formare copie di sé stesso. In pratica, le proteine sono una sorta di “operai” del virus.
E il vostro studio su che cosa verteva?
Sulla ricerca degli inibitori di questi “operai”, di queste proteine.
Come avete proceduto?
Attraverso studi computazionali su una proteina chiamata Elicasi, abbiamo individuato l’Ivermectina e dimostrato che blocca il funzionamento di quella proteina.
Successivamente, abbiamo proseguito con esperimenti sulle cellule infettate dal virus e abbiamo visto che l’Ivermectina era in grado di inibire non solo l’attività della proteina, ma anche la replicazione del virus all’interno delle cellule ospiti.
Una scoperta?
Sì. Visto che non esistono tuttora delle cure contro questi “virus neglected”, decidemmo di brevettare quella scoperta.
Ma l’Ivermectina era un farmaco già usato
Sì, ma la novità fu quella di dimostrare che un antiparassitario funzionava anche come antivirale. Da allora il mondo scientifico si è interessato all’Ivermectina.
E che cosa ha visto?
Ad esempio, che l’ivermectina era in grado di bloccare altri virus come Zika, HIV e Chikunguya.
Veniamo ad oggi. Il Coronavirus è un virus a RNA e quindi simile a quelli che avete studiato?
Certo. Una delle prime cose a cui abbiamo pensato, quando è scoppiata la pandemia, è stata quella di suggerire l’uso dell’Ivermectina. O, quanto meno, d’indirizzare la ricerca terapeutica anche su quel versante.
Conosciamo il meccanismo d’azione dell’Ivermectina nel Sars Cov 2?
Il meccanismo d’azione non si conosce ancora del tutto. Ci sono molti gruppi che stanno facendo degli studi e sembrerebbe che possa bloccare il trasporto delle proteine del virus verso il nucleo della cellula ospite, che è un’azione essenziale per propagare l’infezione.
Ma, dopo il vostro studio, ora servono studi sull’uomo …
Sì, la cosa deve funzionare dal punto di vista clinico. Ad oggi sono in corso una quarantina di studi. È chiaro che adesso si debba proseguire con la ricerca scientifica per conoscere le sue reazioni sull’uomo.
Perché molti medici si sono rivolti a voi?
Perché cercando Ivermectina hanno visto il nostro brevetto, ma noi non la produciamo e non facciamo ricerca medico-clinica.
Vi hanno ascoltato nel mondo ma non in Italia …
Aver brevettato l’uso del farmaco come anti-virale è sicuramente servito a suggerirlo come farmaco da testare nella corsa contro il Covid-19.
Da un lato siamo contenti. Abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo per questa molecola e sapevamo che aveva grandi potenzialità.
Il fatto che venga utilizzata in varie parti del mondo, con risultati promettenti, ci dà la speranza di poter uscire da questa pandemia con una cura a bassissimo costo.
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Redazione: ricordiamo questo nostro articolo di fine novembre, volto a dimostrare che un possibile vaccino esiste già da 100 anni!
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Link originale: https://www.lanuovabq.it/it/ivermectina-parla-italiano-la-cura-snobbata-contro-il-covid
Scelto e pubblicato da Franco
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