Osservatore Repubblicano traduce Nicolas Lecaussin
A partire dagli anni ’30, sotto l’impulso di Andrej Zdanov, Segretario Generale nelle file dei bolscevichi, compagno di viaggio e stretto collaboratore di Stalin, si arrivò a pensare che l’arte e la cultura dovessero svolgere un ruolo essenziale nell’educazione ideologica delle masse.
Gli intellettuali, gli artisti e i giornalisti non devono in nessun modo allontanarsi dalla loro funzione di “ingegneri delle anime“.
Qualsiasi deviazione da questo “dovere” viene punita come si deve: censura dell’autore, divieto di scrivere e di creare, bando, arresto, gulag o addirittura la pena di morte.
C’è una sola “verità” — quella socialista — e una sola “cultura”, quella ufficiale dettata dal Partito e che esprime il “realismo socialista“, sotto il controllo dei censori, degli apparatchik, dei propagandisti e degli altri scagnozzi al soldo di Zdanov.
Alla fine della guerra, lo “Zdanovismo” permeò profondamente la campagna anti-occidentale che l’URSS e altri paesi comunisti condussero per tutto il periodo della guerra fredda, molto tempo dopo la morte di Zdanov nel 1948.
Antirazzismo e teoria gender: una sola verità?
Naturalmente, non si può fare un paragone con ciò che sta accadendo attualmente in alcuni paesi occidentali, in particolare in America. Tuttavia, ci sono alcuni segnali sorprendenti.
Ad esempio, quando Joe Biden suggerisce nel suo discorso inaugurale che c’è solo una “verità”, che il “progressismo” dev’essere compreso e che i contrari sono anche i “nemici dell’America”, il messaggio ha senz’altro un forte tono ideologico.
Si basa su quella grandissima parte dell’America politica, culturale, accademica e mediatica che si è chiaramente votata al politicamente corretto.
Con statue vandalizzate, nomi di strade cambiati, intellettuali e professori messi alla gogna, le azioni di “pulizia culturale“ sono sempre più numerose e hanno poco da invidiare a quelle dello Zdanovismo degli anni ’30, che disonorava e censurava tutto ciò che era considerato appartenere alla “cultura borghese“.
Inoltre, anche i primi ordini esecutivi di Joe Biden sono un buon esempio della sua “politica progressista“ come, ad esempio, la cancellazione della “Commissione 1776“ istituita dall’ex Presidente Donald Trump.
Questa commissione aveva appena ricordato i principi fondatori della Nazione e della Rivoluzione Americana in reazione ai deliri revisionisti del “Progetto 1619“ del New York Times, per il quale la Rivoluzione non aveva avuto altro scopo che preservare la schiavitù.
Allo stesso modo, ha firmato un decreto in cui, in nome della lotta contro la discriminazione, ha negato le differenze di genere e ha sostenuto che i bambini dovessero essere invece istruiti contro gli “stereotipi sessuali“.
Nel campo dello sport, tra l’altro, non ci saranno più differenze di genere o separazione tra uomini e donne.
Biden reintroduce la discriminazione positiva degli anni di Obama, che è stata la fonte di molte tensioni e disuguaglianze nel settore dell’educazione e nel mercato del lavoro.
Nell’annunciare la composizione del suo gabinetto, infine, Biden ha più volte sottolineato la “diversità” dei suoi membri. Non si parla più di competenze, ma solamente della diversità razziale.
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“Awomen“
Nello stesso tempo, alla Camera dei Rappresentanti, la speaker Nancy Pelosi ha approvato nuove linee guida linguistiche.
Parole come “se stesso” e “se stessa” devono essere sostituite da una sola: “se stessi”.
Le parole “padre”, “madre”, “figlio”, “figlia”, “fratello”, “sorella”, “zio”, “zia” ed altri termini legati al mondo della famiglia sono cancellati.
La Pelosi ha anche creato un nuovo “Comitato ristretto sulle disparità economiche e l’equità nella crescita“, il cui vero ruolo è quello di giustificare tasse più alte e uno Stato più interventista.
La sessione alla Camera si è conclusa con un “Amen” seguito da … ”Awomen“, perdendosi per strada la lingua ebraica …
Tra le misure che ricordano le purghe sovietiche ci sono quelle prese da diverse Università americane.
L’Università di Harvard rifiuta gli studenti asiatici e favorisce gli afroamericani. L’Università di Chicago introduce corsi obbligatori di “cultura nera”.
Anche nelle Scuole ci stanno arrivando. A San Francisco, non meno di 44 scuole hanno cambiato nome.
Alla fine di gennaio, il San Francisco Unified School District(SFUSD) ha deciso infatti di cambiare i nomi per seguire “criteri progressisti e antirazzisti“.
Licenziati Abraham Lincoln, George Washington, Thomas Jefferson, Daniel Webster, Paul Revere …
Il loro torto? Non hanno combattuto la schiavitù (curioso che i censori abbiano dimenticato che proprio Lincoln fece approvare il 13° Emendamento che aboliva la schiavitù) e il loro impegno politico non sarebbe stato sufficientemente “progressista” — e come avrebbero potuto? il progressismo moderno manco esisteva!
Tra le vittime dell’epurazione c’è Diane Feinstein, che è ancora viva.
Ex Senatrice e Sindaco di San Francisco. Fu ostracizzata perché aveva commesso il crimine, mentre era ancora in carica, di rimettere al suo posto in un Museo una bandiera confederata vandalizzata.
Ma, meglio ancora, è stato stabilito che le “ammissioni competitive” a queste scuole di San Francisco erano a dir poco … razziste.
Poiché la minoranza afroamericana era sottorappresentata, l’esame competitivo è stato eliminato. L’ammissione è ora basata su criteri razziali.
D’altronde, anche il realismo socialista eliminava coloro che non avevano origini “sane”, cioè gli operai e i contadini.
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Vandalismo progressista
Nomi di strade e persino di antiche Università sono sostituiti da altri nomi che non “offendono la dignità delle minoranze“.
Thomas Jefferson, Benjamin Franklin e Cristoforo Colombo (la cui statua è stata abbattuta persino nella città che porta il suo nome, Columbus, in Ohio) sono vittime del vandalismo progressista e diventano parìa nella terra della purezza ideologica e razziale.
Altrettanto grave, alcuni mass media contribuiscono attivamente alla diffusione di questa politica, quando non la incoraggiano apertamente.
Gli editorialisti sono costretti a dimettersi per aver scritto e pubblicato articoli che non corrispondono alle dottrine alla moda.
Come ad esempio James Bennet, l’opinionista del New York Times che ha osato pubblicare l’intervista a un Senatore repubblicano conservatore.
Stan Wischnowski, un noto editorialista del Philadelphia Inquirer, è stato anch’egli costretto a dimettersi per aver scelto un titolo ritenuto “offensivo” dagli attivisti del Black Lives Matter che vandalizzarono alcuni edifici: il titolo era “Buildings Matter, Too“.
Il giornale fece ovviamente mea culpa per averlo pubblicato.
Un’altra editorialista del New York Times, Bari Weiss, ha lasciato a causa della pressione dei colleghi e della censura di Sinistra, che le impediva di fare bene il suo lavoro. Non era abbastanza “progressista“.
Sempre il famoso New York Times ha appena proposto all’Amministrazione Biden di creare un’“agenzia” o una “task force centralizzata” per combattere, in collaborazione con le principali reti sociali, contro la “disinformazione” e “l’estremismo”, cioè contro tutto ciò che non è conforme alla propaganda ufficiale.
Come uno “Zar della realtà”, controllerebbe l’informazione e le idee giudicate “sovversive”, decidendo cosa è corretto e cosa non lo sia.
Resta dunque da trovare questo apparatchik capace d’imporre un realismo progressista.
Da qualche parte, tra le grandi coscienze della “causa giusta”, ci deve pur essere un apparatchik bravo almeno quanto lo fu il sinistro Zdanov.
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Fonte: https://www.causeur.fr/
Scelto e pubblicato da Franco
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