Lorenzo Vita (CeSMar) per Analisi Difesa
Il dominio dello spazio è oggi uno dei più importanti terreni di scontro tra potenze.
Quella “corsa” che aveva caratterizzato l’era della Guerra Fredda e il duello tra Stati Uniti e Unione Sovietica è stato solo l’inizio di un continuo e graduale processo di ampliamento, fino a diventare un elemento imprescindibile della politica mondiale.
Tanto che, oggi, è in corso una vera e propria marcia a tappe forzate da parte dalle grandi potenze per raggiungere obiettivi scientifici di ordine civile e soprattutto militare.
Non c’è solo la conquista dello spazio (intesa come superamento di nuove frontiere dell’umanità, non ultimo l’approdo su Marte ), ma anche una serie di azioni volte a monitorare e prevenire le azioni nemiche, che oggi possono aver luogo nel dominio spaziale.
Condizione che costringe le potenze medie e grandi a concorrere per una maggiore presenza in questo dominio.
La necessità di essere presenti nello spazio è particolarmente sentita nel campo satellitare.
Il loro aumento nell’orbita terrestre va di pari passo con un parallelo sviluppo tecnologico, che rappresenta un parametro di riferimento per valutare la capacità militare di un’altra nazione.
Un settore che diventerà un fattore decisivo per distinguere le forze che si contendono la supremazia strategica: da una parte chi possiede una capacità “spaziale” e dall’altro chi non ce l’ha.
In questo contesto, l’Italia ha sempre assunto l’immagine di una potenza in secondo o addirittura terzo piano.
Distante dalla corsa allo spazio e dalla sfida tra superpotenze per il quarto dominio, il nostro Paese è apparso quasi sempre escluso dal ristretto club mondiale in grado di competere in questo nuovo campo della conflittualità.
Tuttavia, quest’immagine che ha preso piede nel corso degli ultimi anni non rappresenta la vera storia dell’Italia nello spazio.
Negli anni Sessanta del secolo scorso, quando Stati Uniti e Unione Sovietica si sfidavano per la conquista del cosmo, l’Italia poteva essere considerata la prima potenza europea per capacità di lancio di satelliti, con il “Progetto San Marco” a fare da apripista alla corsa italiana verso lo spazio.
Con la base di Malindi, in Kenya, a costituire il nostro avamposto strategico per il lancio autonomo di satelliti nello spazio.
Le cose sono cambiate nel corso degli anni al punto tale che oggi, di quella base, resta solo il ricordo.
Con il blocco del programma Polaris (lanci da bordo delle navi), l’Italia non ebbe più la spinta interna ed esterna per perseguire l’obiettivo del lancio di vettori, congelando tutto il sistema che fino a quel momento l’aveva portata a essere una delle “potenze” del settore.
Ma l’Italia può davvero considerarsi definitivamente esclusa da questo grande gioco che vede lo spazio in cima alle principali agende del mondo?
La risposta non può che essere negativa.
Di fronte a questa corsa, l’Italia ha dalla sua parte un bagaglio tecnologico e militare di notevole importanza, che potrebbe sfruttare per ergersi di nuovo a potenza in grado di svolgere in autonomia i propri compiti per il monitoraggio del dominio spaziale.
In questo senso, è stato particolarmente importante il processo di creazione, all’interno della Marina Militare, di un Ufficio Spazio e Innovazione Tecnologica, nato nel 2020 grazie anche alle linee-guida redatte dal Capo di Stato Maggiore (Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone) che, in un passaggio del documento, rimarcava il fatto che “la Marina è chiamata nel quadro interforze a contribuire anche al potenziamento delle dimensioni cibernetica e spaziale”.
Tale percorso si è poi arricchito di un ulteriore elemento: l’Incrociatore Portaelicotteri Garibaldi è diventato oggetto di un ampio lavoro di ammodernamento che rientra nel progetto “SIMONA” (Sistema Italiano Messa in Orbita da Nave).
L’obiettivo di quest’iniziativa è quello di studiare la possibilità che il Garibaldi venga impiegato come piattaforma di lancio per satelliti.
Una decisione che non è secondaria nella complessiva strategia nazionale per lo spazio.
Come spiega Renato Scarfi su Difesa-online, la verifica che si concluderà nel 2023 rappresenta “un passo importante verso l’esplorazione di soluzioni innovative per conferire al Paese una capacità autonoma di accesso allo spazio — e un elemento di grande interesse anche per le positive ricadute in termini di progresso delle capacità industriali del Paese”.
Non solo, lo stesso Scarfi segnala che “di fronte a una crescente domanda di servizi spaziali, la proposta italiana permetterebbe di riempire uno spazio strategico ed economico al momento vacante, e di offrire una validissima e meno costosa alternativa alle dispendiose installazioni fisse, che potranno continuare a fare il proprio lavoro, ma a costi economici e politici superiori”.
Sul tema è tornato anche Gian Carlo Poddighe (Cesmar) affermando che “il posizionamento fisso in un’area critica e sensibile porta, oggi, ad altre valutazioni e a considerare alternative, sia tecniche che politico/strategiche”.
Fattori di fondamentale importanza cui se ne aggiunge anche uno di carattere meramente giuridico: il “Paese lanciatore”, in questo caso, opera singolarmente, senza la necessità di coinvolgere altri Stati con richieste di autorizzazioni.
Ce lo spiega nel dettaglio l’Ammiraglio Fabio Caffio, secondo cui per questo tipo di operazioni si può parlare o di regime di alto mare o, al limite, di utilizzo di un’area interna alla Zona Economica Esclusiva (ZEE) di un Paese.
Nel primo caso, spiega l’Ammiraglio, sarebbe da escludere qualsiasi tipo di autorizzazione.
Sarebbe solo necessario un avviso di attività potenzialmente pericolosa per il traffico marittimo.
Nel secondo caso, invece, è più probabile un protocollo di coordinamento con lo Stato costiero, premesso che si tratta di un’attività atipica rispetto a quella militare, ovvero senza una codificazione specifica.
Diverso invece il caso in cui si sfruttassero le acque territoriali: in questo caso cambierebbe radicalmente il regime giuridico essendo necessaria l’autorizzazione dello Stato con una serie di limitazioni alle attività navali.
L’opportunità per l’Italia è particolarmente importante.
L’Italia contribuisce con enormi quantità di denaro all’Agenzia Spaziale Europea, ma senza avere alcun tipo di ritorno economico e politico rispetto a Francia e Germania.
Parigi mette a disposizioni la base di Kourou in Guyana e si è aggiudicata la sede dell’European Space Agency (ESA) e del Centro di Eccellenza a Tolosa.
Berlino vanta lo European Space Operation Centre (ESOC) di Darmstadt da cui controlla tutti i satelliti europei in orbita, e sta cercando di essere la prima nazione europea a dare il via al lancio di satelliti da nave con una piccola ma importantissima base di lancio mobile nel Mare del Nord.
Se questo sistema venisse inserito all’interno dell’Alleanza Atlantica, si comprenderebbe come il rischio di essere esclusi da un settore importante sotto il profilo economico e tecnologico sia troppo alto per essere sottovalutato.
Specialmente per la possibilità di sfruttare un’unità navale già in servizio, personale già addestrato e un intero comparto scientifico italiano che ha scarsa possibilità di carriera in Italia e che forma quel drammatico mondo dei “cervelli in fuga” che tanto ha indebolito, in questi anni, il sistema-Paese.
La convergenza di capacità della Marina, know-how e soldi del Recovery Fund deve essere quindi utilizzata il prima possibile.
Le ricadute in termini politici, economici e industriali porterebbero l’Italia in una posizione di netto vantaggio rispetto ai suoi partner (o rivali).
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Link: https://www.analisidifesa.it/2021/03/dal-mare-allo-spazio-un-nuovo-dominio-per-litalia/
Scelto e pubblicato da Franco
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