Redazione: una nostra lettrice, Serena, grande appassionata di cultura francese, c’invia la pregevole traduzione di un saggio su Jim Morrison, in occasione del cinquantenario della sua morte, che ben volentieri pubblichiamo.
Impietoso il paragone fra l’idolo dei baby boomers e quello della gioventù francese del giorno d’oggi. Fra Jim Morrison e Kilyan Mbappé.
Ma, dopo essere stati anche a noi al Cimitero di Père-Lachaise, la maturità ci ha portato a qualche altra considerazione.
Bellissimo e per qualche verso sconsolante lo sfogo dell’autore, ma non è facile accettare come modello il poeta-cantante americano.
Se è vero che la cultura di quegli anni fu il “fronte interno” sul quale gli Stati Uniti persero la guerra in Viet Nam, è anche vero che non riusciamo a considerare come modello chi contribuì alla diffusione della “cultura della morte” — scacciando il sospetto che, questa, possa aver avuto insospettabili sponsor dalle parti di Langley o della Fifth Avenue di New York.
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Jean-Paul Brighelli per Causeur
Cinquant’anni fa, il 3 luglio 1971, Jim Morrison moriva e diventava il fiore all’occhiello del «club dei 27», composto da musicisti morti a quella stessa età.
Robert Johnson, Brian Jones, Jimi Hendrix o Janis Joplin prima ancora di Jim, Kurt Kobain o Amy Winehouse dopo di lui.
«This is the end, beautiful friend, the end of our elaborate plans, the end of everything that stands …»
Otto anni più tardi sarà questa canzone l’ouverture del film Apocalypse Now, strizzata d’occhio di Coppola a un uomo che aveva conosciuto negli anni ’60 — avendo entrambi frequentato gli studios della “UCLA School” di Los Angeles.
Una morte strana sulla quale circolano molte leggende.
Si pretese persino che fosse stato Raymond Marcellin, allora Ministro dell’Interno, a soffocare l’indagine e a proibire l’autopsia per risparmiare la famiglia De Breteuil — il cui figlio Jean riforniva di stupefacenti gli ambienti del jet set e che, secondo la testimonianza di Marianne Faithful, avrebbe passato a Jim la dose fatale.
L’unico punto in comune di tutte queste storie è l’overdose di eroina, una droga che porta bene il proprio nome.
Solo gli eroi meritano la leggenda.
Romolo morì in trappola, ma poi arrivò un’aquila che lo portò al cospetto degli dei, nel bel mezzo di una tempesta.
Narciso si trasformò in un fiore e Anfione, che aveva eretto le mura di Tebe al suono della sua lira, si suicidò in giovane età — sempre che non sia stato Apollo ad ucciderlo.
Poco importa che l’eroina che gli avevano spacciato fosse pura al 99%, o che Morrison sia collassato nei bagni del Rock and Roll Circus, in Rue de Seine (dove sarei andato a vivere l’anno seguente), o che invece sia annegato nella sua vasca da bagno, conseguenza di una crisi cardiaca.
Poco importa che Jean de Breteuil, tormentato dai rimorsi, si sia suicidato con l’eroina qualche mese più tardi a Tangeri.
Morrison era della tempra di cui son fatti gli eroi e i poeti.
Lo stesso Orfeo aveva 27 anni quando fu squartato dalle Menadi.
E Jim Morrison, in effetti, era una rock star dell’antica Grecia.
Il “cammino della croce” di Mick Jagger, invece, è quello di dover cantare “Satisfaction” a 75 anni.
“J’aime mieux m’en aller du temps que je suis belle / Qu’on me voie jamais faner sous mes dentelles” (preferisco andarmene finché sono bella, piuttosto che mi si veda appassire sotto i miei merletti) cantava Barbara, cui non dev’essere dispiaciuto andarsene a 67 anni.
Quanto ad Achille, anch’egli ha avuto il privilegio di scegliere il proprio destino: morire vecchio e ignorato da tutti, o perire ancor giovane e carico di gloria.
Non esitò un solo secondo. Anch’egli doveva avere 27 anni ai tempi della “guerra di Troia”.
Morrison era innanzitutto un poeta e nella nostra società moderna non c’è posto per i poeti. Né per gli eroi.
Tutto quello che ci viene proposto, per questi ruoli, sono dei calciatori (Kylian Mbappé) o dei compiacenti cosmonauti, la cui performance consiste nell’essere oggetto di esperienze concepite da altri — limitandosi il loro ruolo allo scatto di qualche fotografia.
Anche in musica l’eroe (a partire dagli “eroi della chitarra”) è sempre più raro.
Al giorno d’oggi ci sono solo ragazzi nevrotici, interscambiabili, la cui sola energia consiste nel ringhiare in un microfono tenuto a fior di labbra, assumendo al contempo una posa barocca.
Per niente al mondo acconsentirebbero a raggiungere il “Club dei 27”: troppo impegnati a bere cognac e a riempirsi le tasche di soldi.
Anche al cinema il “regno degli eroi” è passato … eclissato dall’era dei “super eroi”.
Siamo in un’epoca diversa, non smettono di ripetermi.
Oggi, tutti credono di essere un eroe, uno scrittore, un pensatore. E’ sufficiente disporre di un pianoforte e di uno pseudonimo per poter impunemente insultare qualche adolescente in crisi d’identità.
Il fatto che questi piccoli porci si sentano più forti e più degni, rifugiandosi dietro un prudente anonimato, è la maggior contraddizione rispetto all’eroismo da due soldi che essi stessi rivendicano.
Quando vengono trascinati in Tribunale, com’è successo recentemente ad alcuni dei molestatori di Mila, ci troviamo davanti a dei poveri cristi che giurano sui loro dei che loro non volevano tutto questo.
«Je me dégonfle» (mi sto rammollendo) è un nome davvero strano per un eroe. Che fottutissima epoca!
Mi rivolgo adesso ai più anziani.
Quand’erano a scuola, avranno senz’altro studiato le gesta degli eroi della storia di Francia.
Da Vercingetorige, che fieramente s’arrende a Cesare, a Bayard morente sotto un albero, passando per Carlo Martello (quale insegnante formatosi agli attuali NSPE oserebbe esaltare un uomo che ogni benpensante accuserebbe di islamofobia, per aver fermato gli Arabi a Poitiers?), Duguesclin o Giovanna d’Arco (il cui culto è stato restaurato, per le stesse ragioni, solo sotto la III Repubblica).
Ma, a forza di voler storicizzare ogni cosa, a forza di rifiutare di ammettere che ci sono uomini (e donne) più grandi di noi, a forza di assecondare i ragazzi nelle loro assurde convinzioni (quando la legge Jospin, nel 1989, istituì il “diritto di espressione” per gli studenti, compresi che tutto era perduto), a forza di rispettare a tutti i costi le “differenze” e le “comunità”, abbiamo spento la fiamma che gli “Ussari della Repubblica” avevano acceso.
Allo stesso tempo, tutti eroi e tutti codardi. Tutto è uguale, tutti sono uguali e niente ha più alcun valore.
Il modello eroico, come indica lo stesso nome, incita a superarsi … ma se tutto quello che vi viene proposto sono dei tiratori di calci di rigore, peraltro imprecisi, io non ci vedo niente di buono.
Gli americani resistettero ad Alamo perché avevano in testa il modello di Leonida e dei 300 Spartani, che avevano tenuto testa per 3 giorni alle forze persiane. Ed il loro sacrificio salvò il Texas.
Se i patrioti sconfissero gli Austriaci a Valmy è perché avevano in mente i modelli eroici romani e greci. Se i Poilus (fanti dell’esercito) resistettero a Verdun, è perché la scuola aveva loro insegnato a vivere e morire da francesi.
Jim Morrison — che i poeti dilettanti celebrano la notte del 3 luglio al Cimitero di Père Lachaise — era l’ultimo eroe di questa gioventù di baby boomer che ha stravolto l’intero pianeta.
La gioventù attuale, se le parlassimo dei nostri sogni di adolescenti, ci risponderebbe con tono sarcastico: “OK, boomer!”
Parola mia, non vorrei fare a cambio.
La poesia apre lo spazio del sogno e io preferisco sognare che pedalare per conto di Uber — che è tutto quello che il nostro mondo, così prosaico, lascia in eredità a questa gioventù perduta.
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Link: https://www.causeur.fr/this-is-the-end-jim-morrison-204996
Scelto e tradotto da Serena
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