Il condor vola sulle Ande, uccello simbolo, grande e maestoso. In Italia, riadattando alla geografia i termini, un piano che portasse il suo nome si trasformerebbe in “Plan Gaviota”, salvo dover inevitabilmente nobilitare il termine in omaggio al remoto passato italico (a cui alcuni italiani amano riferirsi, spesso per funzioni meramente propagandistiche), ossia riproponendo lo stesso concetto con un dialetticamente più nobile “Plan Aguila”, memore degli antichi splendori romani.
In particolare il Plan Condor fu un’intervento americano “coperto” in Sudamerica degli anni ’70 in cui vennero estremizzati i concetti di difesa della Pax Americana relativamente all’area – strategica – del cono sud.
Sarebbe un errore ricondurre l’attivismo USA in aree strategiche ad una mera lotta contro, ad esempio, il fu pericolo comunista; in realtà si trattava di preservare gli interessi americani nel mondo in base alla massima kissingeriana secondo cui Washington non ha amici o nemici per sempre ma solo interessi.
Il Plan Condor si riferisce storicamente soprattutto al Cile dove l’opposizione anti americana – e solo incidentalmente filo comunista – si trovò a contrapporsi agli interessi USA nell’area, costringendo Washington ad un attivismo paramilitare nell’area mirato ad evitare un’emancipazione rispetto alla potenza dominante a livello globale, ossia agli USA usciti vincitori dall’ultimo conflitto mondiale durante la sfida geostrategica con l’avversario del momento, la Russia.
Nella fattispecie stiamo parlando dell’ascesa al potere del generale Pinochet in Chile.
Va infatti rilevato come attori primari dell’area italica – Stefano delle Chiaie, Otto Skorzeny, Gaetano Saya, … – furono direttamente coinvolti nel ribaltamento degli equilibri politici nell’area, all’ombra di Gladio (che fu – e probabilmente è – una struttura paramilitare attiva globalmente ad esclusione di Russia, Cina, medio oriente e parte del nord Africa, ndr).
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A 75 anni di distanza dalla fine dell’ultima guerra mondiale, Washington è per la prima volta apertamente sfidata nel suo ruolo di dominus globale. Nel III. millennio la sfida arriva principalmente dalla Cina ma con il supporto – strategico e operativo, supporto irrinunciabile, dopo la morte di Schauble fortunatamente scemato [sebbene compensato dagli sforzi immani di Parigi che necessita tale sfida per non dichiarare i danni smisurati fatti dai propri governanti] – di Berlino per altro erede della Stasi, in una rinnovata sfida dopo ben due cocenti sconfitte nelle guerre mondiali per mano anglosassone che hanno ridimensionato radicalmente, ma senza eradicarla, l’innata, barbara e proterva ambizione di dominio globale delle elites tedesche.
Ai nostri giorni la sfida prima di tutto germanica ma anche francese, soprattutto di Davos (sebbene gli attori principali di cotanto revanscismo siano finalmente usciti di scena, su tutti Schauble e Merkel, due “amici” della fu DDR, ndr) si sta estrinsecando sotto forma di un asse con la Francia in veste EUropea del tutto sovrapponibile al periodo di Vichy, ma con l’addendo di potenza globale costituito dalla Cina con cui Berlino di fatto è strategicamente alleata con il fine comune di ridimensionare il ruolo di Washington a livello mondiale.
In tale contesto l’EU è chiaramente lo strumento per sfidare gli USA da parte francotedesca.
In particolare, come per Pechino, oggi la sfida è tutta economica e valutaria: nel più classico “thy your neighbor” l’egemonia mercantilistica passa per una svalutazione competitiva della propria moneta. In particolare, ieri l’EU poteva sfidare i prodotti americani grazie ad una valuta, l’euro, strutturalmente più svalutata del fu marco tedesco grazie alla mera presenza nella compagine eurica di paesi cd. eurodeboli come Grecia, Italia e Portogallo. Da qui la constatazione che le ricorrenti crisi nella periferia EU sono molto utili a Berlino, con il fine di tenere l’euro debole rispetto al dollaro per favorire l’export di prodotti tedeschi (…).
Oggi con il blocco dei canali marittimi (Suez e parzialmente Panama) e la minaccia di guerra le cose sono cambiate profondamente.
Nelle more dell’apparentemente irrisolvibile crisi economica della Penisola, in molti oggi ancora temo sognino (dal nord e dalla Toscana, ndr) di una ipotetica, prossima separazione dell’Italia semplicisticamente in due tronconi, nord e sud, vedasi le concessioni alla Francia fatte da una certa politica traditrice italiana con il Trattato del Quirinale [da cancellare quanto prima, ndr]: il settentrione restando nell’orbita eurofrancotedesca ed il sud che si rivolgerebbe nel caso all’alleato storico del secolo breve, gli USA.
Tale visione secondo lo scrivente è riduttiva e falsata, oltre che pericolosa. Anche perché oggi la popolazione soprattutto italica è stanca delle folli imposizioni EU tipo case Green, auto elettriche, spese ambientali e vaccini preminentemente tedeschi per lavorare, in presenza di una demografia tragica e di immigrati a compensazione, oltre che – ormai – in assenza di crescita economica e di benessere diffuso.
Infatti – lato USA – permettere un’estensione della sfera di potenza franco-tedesca al sud delle Alpi sarebbe comunque foriera di una destabilizzazione a termine dell’area italica meridionale (dove ci sono le basi militari strategiche USA, ndr), con l’obiettivo di permettere un prossimo catapultamento dell’EU-core nell’area di massimo interesse globale del III.millennio, l’Africa. Essendo per altro tale ipotesi tatticamente insulsa, visto che non si lascia prossima all’avversario la porzione ricca del pasto, vedasi il nord [e sud Korea (ndr)].
Or dunque si ritiene che la prima opzione USA sarebbe di non permettere una separazione nord-sud dell’Italia, ben sapendo che un Meridione inevitabilmente filo USA verrebbe a termine messo sotto scacco dal nord industrioso ma in declino divenuto nel tempo franco-tedesco.
Tradotto, stanti le sognate tensioni secessionistiche leghiste (e dunque toscane, …), cfr. Renzusconi, solo parzialmente celate da una politica giusto apparentemente nazionale con etichette eufemistiche (autonomia, ecc.), Washington certamente avrebbe tutto l’interesse ad attivare le sue strutture in loco con il fine di destabilizzare anticipatamente un nord che guardasse all’EU, ossia l’Unione ormai avversaria dichiarata degli USA.
Detta semplice, se la Lega volesse ambire alla creazione di un’area geoeconomica nord italiana prossima a Berlino e Parigi mettendo in discussione l’Unita d’Italia, non è illogico pensare che gli USA attiverebbero le migliori risorse in loco per impedirlo. E molti italiani starebbero a loro supporto, tantissimi, statene certi (in cambio del ritorno di un relativo benessere diffuso come dopo la WWII, ndr).
Ossia nel caso l’Italia potrebbe anche rapidamente diventare un campo di battaglia per procura tra interessi contrapposti ossia EU vs. USA come nel periodo 1943-45, campo di battaglia per interposta persona tra poteri globali in salsa moderna (…).
In tale contesto una Lega divenuta filo-EU dovrebbe scontrarsi inevitabilmente con gli eredi di Stay Behind in Italia. Solo questione di tempo.
Da qui il rischio di un Plan Condor – o anche Plan Gaviota battezzato Aguila – per l’Italia del III. millennio, atto a destabilizzare il nord Italia divenuto nei fatti “secessionista” e post-Atlantico ma soprattutto filo EU, ormai la Lega dichiara apertamente (in ossequio dei suoi stakehoders/esportatori padani) di non voler più uscire dall’euro.
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Mai dimenticare che il nord Italia fu salvato dalla distruzione materiale durante la resa tedesca del 1945 grazie all’Operation Sunrise per mano americana svoltosi tra Lugano, Locarno e Lucerna, in forza della cooptazione interessata lato OSS del capo delle SS per il nord Italia, Karl Wolff, che aveva avuto l’ordine direttamente da Hitler di far saltare per aria col tritolo, tra le altre cose, tutte le dighe del nord Italia durante la ritirata (…).
Estremizzando il concetto, il salvataggio della struttura industriale italica 75 anni fa avvenne per volere americano e per fini atlantici. Se tali fini dovessero oggi venire meno tutto lascia presagire che il progetto nazista di annichilimento industriale e materiale del nord Italia potrebbe concretizzarsi con 75 anni di ritardo, o qualcosa del genere. E senza dimenticare che ormai all’Italia uscire dall’euro conviene, certamente al suo popolo, sebbene non ai suoi cacicchi locali/Don Rodrigo.
In tale contesto non sembra dunque possibile escludere a priori l’opzione di una sorta di Plan Condor per l’Italia del III. millennio, a maggior ragione vista la contrarietà generalizzata della popolazione locale all’EU che, con le sue folli imposizioni e costi annessi, sembra vieppiù una struttura di stampo coloniale (per estrarre valore dalla periferia, verso il centro, ovvero creando miseria per le cd. “Colonie”). Resterebbe da vedere, nel caso, in che rinnovata forma tale neo “plan Condor” si materializzerebbe.
MD