I morti vanno rispettati, assolutamente. Tutti i morti però, non solo qualcuno. E – in termini assolutamente generali ed aspecifici – a meno che un soggetto possa essere responsabile quantomeno moralmente della sofferenza – peggio della morte – diretta o indiretta di un altro essere umano, soprattutto se ingiustamente. Sull’aspetto umano di Francesco Saverio Borrelli non so molto, se non che è morto di cancro: già solo per questo mi duole la sua morte, sono vicino alla famiglia. Sotto il punta di vista socio-cultural-identitario, ossia da italiano, non sentirò invece la sua mancanza.
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Questo perchè Borrelli era il capo di Mani Pulite, ossia di quel progetto di resa di conti tutta italiana (ma forse indirizzata da mani estere, …) che ha causato sofferenze enormi all’Italia, non solo durante Tangentopoli, direi anche oggi come eredità a lungo termine. Soprattutto a causa di come è stato implementato il diritto, ossia in una modalità che faccio fatica ad accettare (vedasi oltre, cfr. Antonin Scalia). In particolare, visto che Borrelli era il capo dei PM milanesi che hanno inciso pesantemente sulla vita di persone che non possiamo dire colpevoli (…), ben ricordando che lui stesso chiese scusa delle conseguenze di Tangentopoli in un libro di alcuni anni fa*, non mi sento da italiano di dispiacermi per la sua dipartita terrena. Escluso il lato umano, naturalmente.
Non voglio aggiungere carne al fuoco approfondendo il caso (tragico) di Diego Curtò, collega di Borrelli e presidente vicario della sezione fallimentare di Milano durante la pausa estiva (quando si discusse il caso Montedison) che, a fronte di una tangente pagata a se stesso ed alla moglie Antonia Di Pietro fece indebitamente fallire il primo gruppo industriale privato italiano (si dice che perdendo Montedison l’Italia possa aver perso fino a 1 milione di posti di lavoro con l’indotto: chi ha pagato per questo? Nessuno, infatti non c’è la possibilità di perseguire in Italia civilmente i giudici, nemmeno in caso di dolo o colpa grave, ossia nemmeno in caso di tangenti….!) [PS: il Curtò finì brevemente in cella singola e TV a colori – non precisamente lo stesso trattamento comminato a Gabriele Cagliari, mi sembra ndr – stando alla stampa dell’epoca, per il breve periodo della sua pena carceraria, senza però mai spiegare la genesi completa della tangente, vedasi sotto, …]
Faccio presente che il compianto Justice Antonin Scalia della Corte Suprema USA riferì personalmente allo stesso Borrelli ed al suo team come la custodia cautelare in carcere fosse contraria ai principi di democrazia USA, limitando i diritti della difesa, fermando di fatto dopo il suo speech la Tangentopoli manettara (tradotto, ante speech si finiva in galera prima del processo sulla base di valutazioni del PM avallati da loro colleghi diretti; per essere rimessi in libertà bisognava “parlare”” ovvero dare informazioni ai giudici, fatto che tecnicamente parlando in altri ordinamenti si può configurare anche come tortura, ndr)**. Per capire cosa intendo vi prego di leggere questo articolo, di Libero Quotidiano, il nesso che sto cercando di evidenziare è chiarissimo.
Si noti come il giudice Almerighi, nel suo libro “Suicidi” abbia chiaramente indicato come Cagliari e Gardini possano NON essere dei suicidi ma omicidi (…). Sottolineo, Almerighi è stato un giudice italiano presso la Procura della Repubblica Italiana.
Per analizzare nei dettagli il vero significato della gesta mortali di Francesco Saverio Borrelli e la sua eredità sulla vita del Paese vi lascio quindi a due letture, gemelle, che lette in parallelo possono dare un’idea più precisa del significato di Tangentopoli; un diciamo “progetto” di cui Borrelli, come capo della Procura, è considerato il padre e dunque risulta pienamente responsabile (meglio, in inglese si dice “accountable“, non esistendo termine equivalente in italiano). Ovvero Borrelli se ne è assunto le responsabilità anche vis a vis con la storia.
Vittorio Da Rold, il Sussidiario, 21.07.2019:
Forse i tempi sono maturi: il vero motivo che portò a Tangentopoli, strumento per “terminare” la Prima Repubblica Italiana
Io non traggo le conclusioni, lascio a voi la pesante incombenza.
Buona lettura
Mitt Dolcino
** Lo stesso giudice Almerighi nel libro sopra citato puntò il dito su un appunto del giudice Italo Ghitti – che doveva convalidare l’arresto nell’udienza preliminare – a Antonio DI Pietro in cui si consigliava al PM cosa contestare per poter convalidare la custodia preventiva in carcere
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